MINALAJoseph Minala cammina per il centro sportivo di Formello. A testa alta, guarda dritto. Il passo è spedito, come quello che nel giro di pochi mesi lo ha portato a esordire in Serie A. Non rallenta mai, nemmeno di fronte alle chiacchiere da bar. Diego Tavano, il suo agente, lo accompagna, i microfoni di Sky Sport lo seguono passo passo. E raccolgono in un’intervista esclusiva le sue impressioni. Queste sì già mature: “Io so bene chi sono. Sono Joseph Marie, sono nato a Yaoundé, in Camerun, il 24 agosto del 1996. Così è facile reperire informazioni su di me, a chi volesse posso anche dare un biglietto per le identificazioni”.

 Una storia tutta da scoprire quella di Minala. Anzi Mìnala, con l’accento sulla i. Ci tiene molto, occhio a non sbagliare: “Arrivai in Italia per un provino con il Milan, il viaggio andò anche bene. Ma giunto qui, il Milan non c’era. Per di più la persona che mi aveva promesso il provino, una volta arrivati alla stazione, mi diede un cellulare e mi disse ‘aspettami qui’. Non ebbi più notizie di quel signore, mi abbandonò lì solo. L’ultima sua immagine fu quella di schiena alla stazione Termini, direzione Vittorio Emanuele. Andai subito alla polizia spiegando l’accaduto, non sapevo cosa fare. Pensavo mi rispedissero nel mio Paese, invece voglio ringraziare lo Stato italiano per avermi dato quest’opportunità. Mi accompagnarono a un ospedale vicino, venni visitato da un medico, poi due poliziotti mi portarono in una comunità. Iniziò così la mia avventura in Italia”. 

Quel telefonino non è servito: “Non l’ho mai usato, ma lo conservo come un ricordo insieme al dizionario”. 

Falsi procacciatori di affari, destino già segnato. Anche sulle espressioni del viso. Minala è diventato famoso ancor prima di giocare: “Sembro più grande? Penso di sì, la gente la vede così. Ma succede spesso nel mondo africano di dimostrare più anni di quelli che si hanno. I miei sono reali, anzi vi invito alla mia festa dei 18 anni”.  

Ha una famiglia numerosa Minala, i 1500 euro al mese che percepisce dalla Lazio (il minimo salariale) li spedisce interamente ai genitori e agli undici fratelli. Cuore grande almeno quanto il talento. Protagonista in campo e fuori: “Ho fatto anche l’attore in una commedia. Parlavo la lingua ed era più facile. Si chiamava ‘Io non sono invisibile’, il responsabile della comunità ci teneva molto a realizzarla per far capire alla gente che siamo tutti uguali nonostante il colore di pelle diverso. Un po’ come successo a Dani Alves. Siamo uguali, a parte i capelli che sono un po’ più alti”.

LALAZIOSIAMONOI

 



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