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36 anni senza Paparelli. Il figlio: “Lo stadio aveva un clima diverso in passato”

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Per un tifoso laziale è una ferita che, pur essendo passato tanto tempo, fatica ad essere rimarginata. Era il 1979 quando, durante un derby, uno dei tre razzi lanciati dalla Curva Sud colpì Vincenzo Paparelli, tifoso laziale giunto all’Olimpico insieme a sua moglie. Fu colpito ad un occhio e la situazione fu subito grave, venne portato al Santo Spirito, ma il destino con Vincenzo fu crudele e a soli 33 anni lasciò questo mondo. Indignato il mondo dello sport, specialmente il mondo calcistico biancoceleste: c’è ancora chi lo ricorda con tristezza, chi ci gioca balordamente sopra, ma la memoria di questo semplice uomo, che aveva come pensiero la sola idea di andare allo stadio e seguire la sua squadra del cuore, è ancora viva.

Il figlio Gabriele su Facebook apre il suo diario con un saluto al compianto padre: “Un bacio al cielo Papà. Sono passati 36 lunghi anni ma la città di Roma ti ricorda ancora. Grazie di cuore a tutti”. A fargli eco, arriva il comunicato ufficiale della Lazio: “La S.S. Lazio, nel 36° anniversario della scomparsa, ricorda Vincenzo Paparelli, scomparso tragicamente il 28 ottobre del 1979 durante un derby. La S.S. Lazio rinnova a Gabriele Paparelli e alla sua famiglia il proprio cordoglio”.

Ai microfoni di Lazio Style Radio, Giorgio Paparelli non solo registra un cambio di mentalità del tifoso o di chi si reca allo stadio, ma purtroppo anche un atteggiamento invariato riguardo la morte del padre. Ecco qui il testo completo delle sue dichiarazioni: “Non è più lo stadio di una volta. C’era un clima diverso in quegli anni, ricordo che mio padre andò a quel derby addirittura con la tessera della Sud. Da allora però è stato tolto tutto, sono vietati anche i tamburi, che erano molto belli. Prima c’erano i muretti di marmo, mi portavo il pallone e giocavo con altri bambini. Facevo nuove amicizie, non vedevo l’ora di andare allo stadio per trovare i miei compagni di gioco. Ora credo che non si possa più fare. Si andava liberamente in tutto lo stadio. Poi lo sfottò non deve mai mancare, anche mio padre era uno che si divertiva a giocare una scommessa, o prendere in giro i suoi amici romanisti. Sono molte le persone che ancora oggi incontro, e mi dicono che da quel giorno di 36 anni fa non entrano più allo stadio. È rimasta una pagina di cronaca nera indelebile. È doloroso ricordare, ma io mi espongo perché bisogna capire che allo stadio si deve andare per tifare. Poi, purtroppo c’è chi prende decisioni troppo drastiche. Dividere una curva a metà vuol dire spezzare il cuore a un tifoso. Spero che almeno una persona su cento riesca a capire che la violenza non deve far parte di questo mondo. Il calcio è lo sport più bello del mondo, perché rovinarlo. Questa mattina sono state trovate altre scritte, zona Eur, mi ricordo l’anno scorso un video postato sul web con cori un po’ stupidi.Bisogna smetterla. Allo stadio si va per tifare la propria squadra e divertirsi. Io ho vissuto una tragedia immane, già da bambino, quando ho dovuto capire l’accaduto e tutte le sue conseguenze. Ringrazio tutte le persone che stamattina mi sono vicine sui social. Io da anni ho perdonato chi ha fatto quel gesto, il perdono è importante ma bisogna andare allo stadio anche con la testa. Grazie di cuore ancora e Forza Lazio!”



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