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Moratti e Lotito, le due facce del calcio…

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Moratti Lotito

Il confronto tra Lotito e Moratti non è un discorso di soldi, non è un paragone tra patrimoni ereditati o conti in banca, non è neanche un confronto tra due modi diversi di intendere il calcio e di gestione societaria. Il parallelo tra Lotito e Moratti è solo la dimostrazione lampante della differenza tra chi dice di essere tifoso di una squadra e poi mette in cima a tutto i propri interessi e chi è veramente tifoso di una squadra, al punto da mettere il bene del club davanti a qualsiasi cosa: agli interessi economici e soprattutto alla voglia di protagonismo e di vetrina che prima o poi contagia tutti i presidenti di calcio.

Massimo Moratti, figlio di Angelo, ha vinto 16 trofei in 18 anni, battendo a livello di numero di successi anche il padre, che in 13 anni di presidenza aveva vinto tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppa Intercontinentali, creando negli anni Sessanta il mito della “grande Inter”. Moratti-Inter, una famiglia, una società: 31 anni di presidenza in 105 anni di storia, 23 trofei vinti su 39, più che un binomio un vero e proprio matrimonio, che ha resistito anche nel periodo di transizione tra la gestione del padre e del figlio, quello degli anni in cui al vertice si sono avvicendati con scarsa fortuna Ivanoe Fraizzoli e Ernesto Pellegrini. Dici Moratti, quindi, dici Inter, così come dicendo Juventus dici Agnelli. Ma per il bene dell’Inter, Massimo Moratti ha deciso di farsi da parte. Non per problemi economici, perché a livello di patrimonio familiare Moratti uno come Lotito se lo potrebbe comprare per metterlo a fare l’usciere nella sede della Saras, ma perché ha deciso di cercare qualcuno ancora più ricco di lui per assicurare all’Inter un futuro che lui al momento non può garantire. E parliamo di uno che in 18 anni di gestione ha investito di patrimonio personale qualcosa come UN MILIARDO E 160 MILIONI DI EURO. Sì, avete letto bene, questo è quello che ha messo sul piatto la famiglia Moratti, come emerge da un’inchiesta pubblicata qualche settimana fa. Moratti è al primo posto nella classifica tra i presidenti che hanno investito di più nel calcio italiano, davanti anche a Berlusconi che dal 1986 a oggi ha messo 600 milioni di euro di patrimonio privato per rendere il Milan il club più vincente d’Europa dopo il Real Madrid. In questa classifica, indovinato un po’ ci c’è all’ultimo posto? Claudio Lotito, che di patrimonio personale (tolta la cifra investita per acquistare in tre operazioni diverse il 67% attuale di capitale sociale della Lazio) ha messo ZERO EURO. Sì, Lotito è l’unico presidente che in 9 anni di presidenza non ha messo un solo euro di tasca nelle casse della società che dirige per rinforzare la squadra. Per carità, non è un “elogio allo sperpero” e tanto di cappello a Lotito visti i 3 trofei conquistati senza spendere un euro di suo, ma nel calcio come in tutte le aziende del mondo se non si investe non si cresce. Si può arrivare (anche con un pizzico di fortuna) fino ad un certo livello, ma non si può fare il salto di qualità.

Per questo fa male, nel momento in cui Moratti cerca qualcuno in grado di dare all’Inter più di quello che può dare e che ha già dato lui, sentire Lotito che dice di voler restare a vita”, anzi, di voler “lasciare la Lazio in eredità al figlio”, come se fosse una casa o un terreno di famiglia. Quella frase, ripetuta come un disco rotto da anni, sembra quasi un verdetto di condanna all’ergastolo, ad una vita da tifosi costretti a chiudere in un cassetto il sogno di veder tornare la Lazio ai livelli della seconda metà degli anni Novanta e dell’inizio del Terzo Millennio.

“Non cederò mai la Lazio, è una questione di principio, di passione e di attaccamento. La Lazio non è in vendita e in futuro vorrei passare il club a mio figlio, mi piacerebbe molto”La trattativa con Thohir va bene, lo sto facendo per il bene dell’Inter. Per il bene della Lazio un presidente che non ha investito un solo euro resta attaccato alla poltrona e rifiuta a priori di aprire ad altri le porte di Formello; per il bene dell’Inter, uno che ha speso 1160 MILIONI DI EURO, ha cercato nuovi investitori e ora che ha trovato un possibile erede più ricco di lui ha deciso di farsi da parte, gradualmente, ma solo perché vuole avere la certezza che Thohir acquisti la società per renderla ancora più grande e non per mettere le mani su un nuovo giocattolo di cui si potrebbe stancare dopo un paio d’anni. C’è qualcosa che non torna in questo parallelo tra Lotito e Moratti, oppure c’è qualcosa che proprio non funziona. E il tifo c’entra poco. Sì, perché mentre sulla fede nerazzura di Moratti si possono mettere tutte e due le mani sul fuoco, visto che l’Inter è sempre per la famiglia un “affare di cuore”, della fede laziale di Lotito non c’è traccia prima del 2004. Anzi, lui è l’unico che racconta di essere “laziale da sempre perché contagiato dal fidanzato della sua tata” è lui, mentre sia chi ha contribuito a metterlo alla guida della Lazio (Storace), sia chi lo conosce da una vita (Baldissoni) ha raccontato in tempi diversi di un Lotito più a tinte giallorosse che biancocelesti.

Quindi, affare di cuore non è, semmai è un affare e punto, roba di portafoglio. Ma anche qui c’è qualcosa che non torna. Perché un imprenditore che ha investito un certo capitale (circa 35 milioni di euro) decide a priori di non monetizzare l’investimento fatto neanche davanti alla possibilità di raddoppiare o triplicare l’investimento fatto cedendo la società? Il perché forse sta tra le pieghe dei bilanci, in quelle voci di uscite che un anno portano quasi 4 milioni di euro nelle tasche dell’avvocato Gentile, poi da qualche anno a questa parte portano dai 3 ai 5 milioni di euro nelle casse di una serie di società tutte di proprietà o comunque controllate da Lotito: dalle ditte di vigilanza e di servizi, fino ad arrivare alla Salernitana, visto che la Lazio è l’unico esempio in Italia di un club che finanzia apertamente con i suoi soldi un altro club di serie inferiore. Il perché va forse ricercato nella scalata sociale che ha fatto Lotito grazie alla Lazio, passando da piccolo e sconosciuto imprenditore che frequentava i palazzi della Regione, della Provincia e del Comune a caccia di appalti, a personaggio che entra e esce dalla Camera dei Deputati e dal Ministero degli Interni e che dagli appalti locali è passato a quelli delle Ferrovie e degli Aeroporti, anche se ultimamente da questo punto di vista le cose non stanno andando benissimo, anzi. E con il cambio di governo a Roma e nel Lazio, in futuro per lui le cose non potranno che andare peggio.

Ma nonostante tutto, Lotito resta attaccato alla Lazio. E che il calcio per lui non sia un affare di cuore ma di portafoglio, oltre che un mezzo per esercitare potere e accattivarsi il favore di politici locali, lo dimostra il fatto che Lotito sventola con la stessa disinvoltura la bandiera della Lazio e quella della Salernitana, ed ora a quanto pare si appresta a sventolare anche quella della Sambenedettese. Un cuore in Serie A, uno in Lega Pro Prima Divisione e uno in lega Pro Seconda Divisione, per un Lotito “uno e trino”, senza voler fare paragoni blasfemi. E scalzarlo non sarà facile, anche perché grazie al fatto che la Lazio è quotata in Borsa è difficile pensare ad un approccio simile a quello che ha avuto Thohir con l’Inter. Primo, perché Thohir ha bussato alla porta per il semplice motivo che Moratti ha esposto il cartello VENDESI, specificando di voler vendere solo una parte della proprietà, ma da cosa nasce cosa quando si entra nell’idea di vendere. Secondo, perché conoscendo il personaggio nessun imprenditore del mondo si presenterebbe con il rischio di dover affrontare una trattativa infinita e magari anche una guerra di piazza. In un momento di crisi economica globale, chi ha una società che muove miliardi di euro ogni anno è abituato a muoversi e a ragionare in modo diverso. Magari non a trovare tappeti rossi stesi al suo passaggio se decide di fare un investimento, ma neanche a dover scatenare una guerra, oppure un braccio di ferro o una trattativa infinita per acquistare una società più per una questione sentimentale che per realizzare un vero e proprio business. Noi, purtroppo, abbiamo a che fare con uno che fa finta di operare per il bene della Lazio, uno che si dipinge come un benefattore ma che in realtà opera solo per se stesso. Non si è mai sentito uno che non investe un solo euro di patrimonio personale e che dice di voler lasciare la Lazio in eredità al figlio, come se fosse una casa o un terreno. Ed è difficile convincere chi ha un’altra cultura ad accettare il rischio di sentirsi dire di no da uno che economicamente parlando potrebbe essere l’usciere del suo palazzo… Perché per certa gente l’eventuale anno d’immagine della società che rappresenta conta più che acquistare la Lazio per far felici i tifosi. E se non succede qualcosa per sbloccare la situazione, questo per noi laziale equivale quasi ad una condanna all’ergastolo, con l’aggiunta della beffa di dover assistere a chi passa da presidente ricco ad uno ancora più ricco. Ma Moratti è tifoso dell’Inter e ha sventolato solo e sempre una bandiera nerazzurra da quando è nato, mentre Lotito sventola una bandiera multicolore: e i colori non sono quelli delle squadre di cui è presidente o proprietario, ma quelli delle banconote di vario taglio che gli fruttano le multiproprietà calcistiche. Quelle vietate dall’art. 16 bis del  regolamento, ma che lui continua a mantenere (anzi ad aumentare) grazie alle deroghe delle deroghe di un ambiente e di un paese senza regole.

STEFANO GRECO – LAZIOMILLENOVECENTO



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