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Calciomercato Lazio

Cala il sipario sul calciomercato, inizia il giorno più lungo…E più inutile

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Caro-biglietti Lazio-Verona: Lotito risponde alle critiche dei tifosi

lotitoFinalmente ci siamo, finalmente siamo arrivati alla fine di questo ennesimo supplizio chiamato mercato. Questa mattina pensavo con nostalgia al passato, agli anni in cui consideravo questo periodo come il più bello e forse il più emozionante della stagione. E non parlo degli anni d’oro dell’era-Cragnotti, parlo degli anni settanta, quelli di una Lazio costruita quasi interamente in casa, delle estati in cui la rosa che viaggiava verso il ritiro (di solito in Umbria) era composta da almeno 15 giocatori nati e cresciuti nel vivaio della Lazio. E il bello, è che circa la metà erano titolari: D’Amico, Giordano, Manfredonia, Montesi, Tassotti, Agostinelli, Cantarutti, De Stefanis, Budoni… Anni in cui se una squadra acquistava 3-4 giocatori si parlava addirittura di “rivoluzione”, perché le frontiere erano chiuse, di soldi ne giravano pochi, i giocatori erano legati a vita alle società e firmavano il contratto in ritiro tra una seduta e l’altra di allenamento, sottoscrivendo al massimo un biennale. In quegli anni, sognavi il grande colpo, a volte correvi di notte all’edicola di Corso Francia per comprare l’edizione de “Il Corriere dello Sport” fresco di stampa e dovevi fare la fila per avere quella preziosa copia e scoprire se la Lazio aveva acquistato qualcuno. Ricordo la soddisfazione per l’arrivo di Ciccio Cordova, ex capitano e bandiera della Roma che aveva firmato per la Lazio quasi per fare un dispetto alla sua ex società. Ricordo per speranze riposte nell’arrivo di Nando Viola dalla Juventus, oppure nell’estate del 1979 e la gioia per l’acquisto di Zucchini e la grande illusione quando anche Lenzini si buttò nella trattativa con il presidente del Vicenza Farina per l’acquisto di Paolo Rossi, L’estate da sogno si trasformò in un anno da incubo, con la retrocessione a tavolino per lo scandalo scommesse, ma con l’orgoglio di aver visto addirittura 19 calciatori cresciuti nel vivaio della Lazio indossare almeno per una partita quella maglia. Un record ineguagliabile, nomi che per molti di voi sono completamente sconosciuti: Avagliano, Budoni, pesce, Piccinini, Manfredonia, Perrone, Pochesci, Tassotti, Campilongo, Cenci, D’Amico, Ferretti, Labonia, Manzoni, Montesi, Scarsella, Giordano, Piochi, Tedesco…

Erano anni felici e spensierati. Il tifoso era veramente al centro di tutto, perché lo stadio (biglietti e abbonamenti) era l’unica fonte a cui i presidenti potevano attingere per evitare di tirare fuori i loro di soldi. A Tor di Quinto c’erano 2-3000 persone ad ogni allenamento, i cancelli erano sempre aperti e i giocatori erano pagati anche per prendersi gli insulti e subire pesanti contestazioni, non come quelli di oggi che vivono praticamente sotto una campana di vetro. Di Lazio leggevi sui giornali; l’unica trasmissione radiofonica in cui tra sociale, arte e spettacolo si parlava anche di calcio e di Lazio era quella di Gianni Elsner e “Goal di Notte” era un appuntamento fisso, imperdibile. Non è un pezzo nostalgico, non scrivo queste cose per dire come erano belle le cose ai nostri tempi, ma solo per raccontare a chi non ha vissuto quegli anni come è cambiato il calcio. Se era meglio o peggio, sta a voi giudicare. Personalmente, non sono affatto affascinato dal calcio di oggi, dai calciatori-divi, dai funamboli con le creste e i capelli dai colori improbabili ai quali non puoi dire “ah” altrimenti si offendono, figuriamoci poi se li fischi o se li insulti. Vale per loro, come vale per i dirigenti, che si sentono non meno divi dei calciatori e spesso e volentieri trasformano le conferenze stampa in veri e proprio show, mostrando un ego smisurato. Ed ora, per sentirsi non da meno dei calciatori che strapagano e stracoccolano, i presidenti (esempio eclatante De Laurentiis) sbarcano anche su Twitter, arringano le folle pure dal web e trasformano il mercato in una grande occasione per fare passarella. E chiaramente, si considerano infallibili e immuni da critiche. Tutti, figuriamoci poi uno come Lotito…

Nel week-end, dopo l’ennesima batosta con la Juventus, tutti o quasi si sono destati, in molti hanno scoperto che non era tutto oro quello che luccicava o che molte delle cose in cui avevano creduto negli ultimi tre mesi erano pure e semplici illusioni. In tanti hanno maledetto Lotito e Tare, in tanti mi hanno chiesto: “Con che faccia si presenteranno alla gente a fine mercato portando in dono alla Lazio sconosciuti come Berisha e Perea?”… Semplice, con la stessa con cui in passato hanno detto che non c’era stato tempo per prendere Honda o Nilmar, oppure che per colpa di un fax che funzionava male e della moglie capricciosa di un giocatore non erano riusciti a realizzare i colpi che si erano prefissi, oppure con la stessa faccia e la stessa arroganza con cui si sono presentati a febbraio, puntando l’indice accusatorio contro i critici o definendo i gufi chi osava contestare il loro operato, tronfi per aver portato alla Lazio due “fenomeni” come Pereirinha e Saha, acquisti che (testuale) “dimostravano come la Lazio operasse H24 e 365 giorni all’anno pronta a cogliere al volo qualsiasi occasione per migliorare la rosa”

Non lo so cosa succederà oggi, al contrario di tanti altri non ho nessuna certezza né sul fatto che il mercato si chiuderà con Perea e Berisha né che assisteremo alla chiusura con il botto, con l’arrivo in extremis di Yilmaz e magari di un difensore. So solo che se è vero che senza cessioni c’erano 13-15 milioni di euro da mettere sul tavolo per prendere Yilmaz, oggi ci sono quasi 8 milioni di euro in più, perché ieri Kozak è finito all’Aston Villa (7,5 più 1,5 di bonus) e Rozzi a sorpresa alla squadra B del Real Madrid per 200.000 euro di prestito e circa 6 milioni di euro di riscatto a favore degli spagnoli. Quindi, i soldi per arrivare ad Yilmaz e da mettere sul tavolo per pagare la prima rata di un ottimo difensore (Astori, tanto per non fare nomi), ci sono tutti. Basta volerlo fare, basta avere i rapporti giusti per farlo e i modi giusti per affrontare trattative dell’ultimo giorno che per forza di cose non posso essere sedute-fiume in cui si discute di tutto fino allo stremo delle forze.

Viste le esperienze del passato, non ci sarebbe un solo motivo per essere ottimisti, ma non so perché ho la sensazione che non può finire così. Ho la sensazione che anche uno insensibile a tutto e tutti come Lotito abbia capito che questa volta non si può permettere il lusso di scherzare con il fuoco, altrimenti c’è il rischio non di fare la fine di Muzio Scevola, ma di trasformarsi in una torcia umana. Per questo mi metto seduto e aspetto le 23. Ma a radio spenta, senza stare attaccato al computer e fare F5 ogni minuto per vedere se ci sono novità. Aspetto che cali il sipario per giudicare. E se arriveranno Yilmaz e un difensore, mi alzerò per battere le mani, senza problemi. Come non ho problemi a battere le mani per la cifra incassata per Kozak o per l’eventuale partenza di Alfaro. Perché chi pensa che uno stia qui ad aspettare un passo falso della Lazio in campo o della società sul mercato per criticare, non è stolto, ma deficiente. Nel senso letterale della parola. Perché qui le critiche, se secondo noi hanno una base, si fanno anche quando si vince. Anzi, a maggior ragione quando le cose vanno bene e tutti cavalcano l’onda facendo finta che un successo possa cancellare tutto o risolvere problemi che invece hanno radici profonde e non possono essere spazzati via da una semplice onda. Buona giornata a tutti…

STEFANO GRECO



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