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La caduta della Umbro: da regina del calcio a marchio dimenticato

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Maglia Umbro della Lazio anni ’90, simbolo di un’epoca d’oro in cui il marchio inglese vestiva i club più iconici del calcio europeo.
Maglia Umbro della Lazio anni ’90, simbolo di un’epoca d’oro in cui il marchio inglese vestiva i club più iconici del calcio europeo.

Per molti tifosi nati tra gli anni ’80 e i primi 2000, Umbro (o Ambro, come si pronunciava in Italia) evoca ricordi indelebili.
Le sue maglie — semplici, pulite, eleganti — erano il simbolo di un calcio romantico, lontano dalle strategie di marketing globale.

Bastava guardare la Lazio di Cragnotti, il Manchester United di Cantona o la nazionale inglese di Shearer per capire cosa significasse indossare una maglia Umbro: tradizione, qualità e stile.
Oggi, invece, il marchio britannico è relegato a un ruolo secondario.
Ma come è potuto accadere che la regina delle maglie da calcio sia diventata un marchio quasi dimenticato?


Gli anni d’oro: Umbro e il dominio europeo

Negli anni ’80 e ’90, il calcio era ancora un affare europeo.
I grandi marchi che dominavano il mercato erano Adidas, Umbro, Robe di Kappa, Lotto, tutti nati e cresciuti nel Vecchio Continente.

Gli Stati Uniti, ancora lontani dal fenomeno “soccer”, non avevano capito la potenza economica e culturale del calcio.
Questo permetteva a brand come Umbro di espandersi e di vestire club di altissimo livello:

  • Manchester United, la squadra simbolo della Premier League nascente;
  • Nazionale inglese, vero orgoglio del marchio;
  • Lazio, durante il periodo d’oro di Cragnotti, con le leggendarie maglie celesti Umbro tra le più amate di sempre.

Il marchio inglese era sinonimo di classe britannica e artigianalità sportiva.
Non era solo sponsor tecnico: era un’icona culturale.


L’arrivo dei giganti: l’invasione americana

A cavallo tra gli anni ’90 e 2000, però, il mondo del calcio cambia.
Diventa globale, mediatico, commerciale.
E le grandi multinazionali americane si accorgono del suo potenziale economico.

Marchi come Nike e Puma entrano in campo con potenza di fuoco finanziaria mai vista prima.
Offrono contratti milionari ai club europei, pronti a strappare le sponsorizzazioni storiche ai brand europei più piccoli.

La Lazio, ad esempio, dopo anni con Umbro, passò a Puma:
non per la qualità dei materiali, ma per le cifre offerte.
Cragnotti non poté resistere.

Nel frattempo, Nike si lanciò alla conquista del calcio con un obiettivo chiaro: distruggere il monopolio di Adidas e diventare il marchio numero uno del pallone.


La mossa decisiva (e fatale): l’acquisizione del 2008

Nel 2008, Nike compie la mossa che segnerà il destino di Umbro:
acquista il marchio britannico per 285 milioni di dollari.

Sulla carta, un matrimonio perfetto.
L’idea era quella di sfruttare la tradizione di Umbro nel calcio europeo per rafforzare la presenza Nike nel mercato del football.
Ma la realtà fu ben diversa.

Invece di far crescere il marchio, Nike lo svuotò dall’interno.
Prese tutte le sue sponsorizzazioni più prestigiose — Manchester United, nazionale inglese, club di Premier League — e le trasferì sotto il proprio logo.

Nel giro di pochi anni, Umbro si ritrovò senza più squadre di punta.
Un marchio storico, senza identità e senza visibilità.


Dal dominio alla scomparsa

Nel 2012, appena quattro anni dopo l’acquisizione, Nike decise di disfarsene:
vendette Umbro a Iconix Brand Group per 225 milioni di dollari, 60 milioni in meno rispetto al prezzo d’acquisto.

Una perdita economica evidente, ma soprattutto una distruzione strategica.
Umbro, privata delle sue sponsorizzazioni e della sua rete, divenne un guscio vuoto.

Era finita un’era.
La Umbro dei Cantona, dei Gascoigne, dei Mancini, non esisteva più.


Il lento tentativo di rinascita

Negli ultimi anni, Iconix ha provato a rilanciare Umbro.
Il marchio ha mantenuto una piccola presenza nel calcio britannico e sudamericano, ma la concorrenza è feroce: Nike, Adidas, Puma, New Balance, Under Armour, Mizuno e nuovi brand asiatici dominano il mercato.

Il mondo delle maglie da calcio non è più artigianato e passione: è marketing globale, collaborazioni fashion, edizioni limitate.
E in questo contesto, Umbro — con la sua identità “old school” — fatica a trovare spazio.


La nostalgia dei tifosi

Per chi ha vissuto quegli anni, però, Umbro non è un marchio qualunque.
È sinonimo di un’epoca in cui le maglie erano un simbolo di appartenenza e non un prodotto commerciale.

Basta guardare una maglia Umbro della Lazio o del Manchester United per sentire la differenza: il colletto, i materiali, i dettagli.
C’era stile, tradizione, identità.

Oggi, chi vuole rivivere quella magia deve cercare su eBay o nei mercatini vintage.
E quelle maglie, anche dopo 30 anni, restano bellissime — forse più di molte di oggi.


Conclusione

La storia di Umbro è quella di un marchio iconico divorato dalla globalizzazione del calcio.
Un’azienda nata per vestire le passioni dei tifosi e finita vittima delle logiche del business.

Per noi nostalgici, resta il ricordo di un tempo in cui una maglia Umbro non era solo un capo sportivo, ma un pezzo di cuore.



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