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Luis Alberto: “Volevo andarmene ma Inzaghi mi disse di no”

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Biglietti roma lazio

Luis Alberto si è raccontato in una lunga intervista a RivistaUndici soffermandosi sul passato e sul presente, un periodo dove voleva lasciare la Lazio per poi trovarsi leader e pilastro con 200 partite all’attivo, passando anche sulla questione Simone Inzaghi.

Lazio come una famiglia

“Una famiglia. Qui nello spogliatoio è facile fare gruppo, ce lo ha detto anche un compagno appena arrivato. È impossibile non ambientarsi, e poi qua ci sono gli stessi giocatori di quando sono arrivato. Con i vari Immobile, Milinkovic, Radu, siamo sempre insieme”.

Simone Inzaghi e Maurizio Sarri

 “Inzaghi era un amico, un padre per tutti noi. Sarri invece ha una personalità diversa, più forte. Ha un’idea di gioco bellissima, l’abbiamo vista a Napoli o ad Empoli. Secondo me tra due o tre mesi la Lazio divertirà tanto. Non so se vinceremo qualcosa, ma sicuramente ci sarà da divertirsi. E per gli avversari sarà molto complicato: la nostra qualità è molto simile a quella del suo Napoli. Anzi, sotto alcuni aspetti posso dire che siamo anche migliori. Per ora il nostro obiettivo è il quarto posto, dobbiamo prendere tutti i punti possibili, ma sappiamo anche di essere una squadra in costruzione. Abbiamo bisogno di capire bene quello che ci chiede il mister, solo dopo potremo fare grandi cose”.

Dal 3-5-2 al 4-3-2-1

“Cosa è cambiato? Che ci sono sessanta, settanta metri di campo in più per arrivare in porta. Ma il vantaggio è che, quando salti la pressione, hai davanti a te un’autostrada. Per come giochiamo noi, poi, è un compito che posso fare, con Milinkovic che può giocare più avanzato per far valere la sua fisicità”.

Gli Assist

 “È un qualcosa che mi è sempre appartenuto, mi piace tanto mandare i miei compagni in porta. A volte pur di fare un passaggio mi rendo conto di perdere l’occasione di calciare da posizione favorevole. Immobile? Sto ancora aspettando il rolex (ride, ndr). Va detto che per tutti i novanta minuti fa un lavoro enorme, di smarcamento per rompere la linea avversaria. Così è più facile servirlo”. 

L’arrivo in Biancoceleste

  “Dopo tutto questo tempo è tutto più semplice, sono più sereno in campo, avverto la fiducia che ho intorno, in campo, in allenamento, nello spogliatoio. Ero arrivato l’ultimo giorno di mercato, in una stagione senza coppe europee, Inzaghi schierava in campo sempre gli stessi undici. E poi, nel 4-3-3, penso nemmeno lui sapesse dove mettermi. Perciò i primi tre-quattro mesi furono devastanti: è stato il momento più complicato della mia carriera. Avevo perso la testa, non volevo nemmeno più andarmi ad allenare. Una roba che non mi era mai successa. Con il mio mental coach Campillo è cambiato tutto. Anche se continuavo a non giocare, tutti i miei compagni e lo staff dicevano che ero il giocatore migliore in allenamento”.

Voglia di andarsene per poi ripartire

“A fine anno andai dal mister e gli dissi: ok, troviamo una soluzione, vado via. Per me è stato un anno di merda. E invece Inzaghi mi disse, no, non vai da nessuna parte. Comincia a fare il regista dopo l’addio di Biglia, per me era bellissimo: prendevo la palla e non c’era nessuna pressione. Sono passato in pochi mesi dall’andare via al giocare quasi duecento partite con la Lazio. Il calcio è così, in un giorno può cambiare tutto, nel bene e nel male”.

La Serie A ed il Siviglia di Papu Gomez

Guardo tutto. L’anno scorso mi piacevano tanto Italiano e De Zerbi, sono due allenatori che faranno bene. C’è tanta qualità in questo campionato, altrimenti l’Italia non avrebbe vinto gli Europei. Quello che mi infastidisce in questo campionato è che ci sono troppi campi non all’altezza, diventa complicato in questo modo. Il Papu Gomez, che ora è a Siviglia, mi diceva proprio che lì la palla viaggia a duemila. In Italia, invece, questo è impossibile, perché prima che arrivi al tuo compagno fa sempre due o tre rimbalzi. Questo è un aspetto che la Serie A deve regolare al più presto”.

Il Liverpool

“Quando ti chiama una squadra del genere, non puoi dire di no. In poco tempo ero passato dalla Serie B spagnola a una squadra che poteva vincere la Premier, con giocatori come Gerrard, Suarez o Sturridge. Ero passato a un calcio completamente diverso, ho capito che oltre la qualità tecnica avrei dovuto alzare il livello di tante altre cose. Certo, è vero: sarebbe sicuramente andata diversamente se mi avessero chiamato in un altro momento, ma c’è chi butta quindici anni della propria carriera, in fondo io ne ho buttati solo un paio”.



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