“Penso che il problema della Lazio, al momento, sia che in Europa si è fatta una reputazione di società che viene associata alla destra. Ci sono stati dei precedenti, come Di Canio ecc. Penso che questa opinione sia presente a prescindere nella mente della gente, qualcosa che è associato al club, che sia una supposizione giusta oppure no” le parole pronunciate da Piara POWAR, Direttore Esecutivo di FARE (Football against Racism in Europe) Network, hanno confermato l’idea che si è fatta strada nei pensieri dei sostenitori della Lazio, quella di avere sulla testa una spada di Damocle sempre pronta a colpire.
PRECONCETTO – Le parole di POWAR rispecchiano un po’ quello con cui tutti i sostenitori biancocelesti devono vivere ogni giorno. Il preconcetto che ogni tifoso del club sia razzista e fascista. Capita spesso di parlare di calcio al bar o di sentire alla radio la frase:“Sono della Lazio, ma non fascista”. Un’idea ormai superata visto che sono ormai più di dieci anni che in una curva non entrano simboli politici, ma che purtroppo il club non riesce a scrollarsi di dosso. L’immagine del tifoso laziale nel mondo è forse quanto di più lontano dalla realtà. O meglio, l’idea generale vista dall’esterno è solamente quello di una sparuta minoranza e non della totalità del tifo. Ormai la LAZIO è sotto la lente d’ingrandimento e i suoi fan non possono assolutamente più sbagliare nemmeno quando sono solo in 100 a peccare su 60000.
SQUALIFICHE – Le punizioni subite dalla Uefa nelle ultime due stagioni (tre gare a porte chiuse sommando le due decisioni, ndr) hanno lasciato molto amaro in bocca. In particolar modo agli spettatori dei match all’Olimpico contro Borussia Moenchengladbach e Legia Varsavia in cui i tifosi ospiti sono sembrati ben sopra le righe e, invece, ad essere punita è stata la curva biancoceleste con la squadra costretta a giocarsi match decisivi senza il sostegno del pubblico. Sarebbe forse ora di tornare a pensare ai tifosi della Lazio come sostenitori di una squadra di calcio e non come persone attive in politica. Qualche errore forse è stato commesso in passato, ma i biancocelesti hanno già pagato e sarebbe anche giusto voltare pagina e andare avanti. Punire solo chi sbaglia e non un’intera tifoseria è l’unica via per cercare di isolare ed espellere dagli impianti le “mele marce”, come le ha definite il presidente Lotito. Il calcio e la passione per i propri colori non dovrebbe essere proibito a nessuno e allora perché togliere ad un bambino la gioia di andare allo stadio a sostenere i suoi beniamini? Sarebbe bello liberarsi del passato, ma adesso è ora di andare avanti e di punire chi veramente sbaglia. Il tifo laziale è innamorato dei suoi colori, ma soprattutto è costituito per la maggior parte da persone civili stanche di vivere con una “lettera scarlatta” sul petto che vorrebbero tornare ad essere considerati solo sostenitori dello sport più bello del mondo.
Antoniomaria Pietoso
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