il“Tutta mia la città, un deserto giallorosso… Tutta mia la città, questa notte un capitano piangerà”. Non faceva proprio così la canzone che è stata uno dei cavalli di battaglia dell’Equipe 84, ma questo è il giorno delle canzoni riadattate per rendere più gustoso lo sfottò, di motivi come “Una lacrima sul viso” sparati a tutto volume, di ritornelli come “non c’è più niente da fare, è stato bello sognare…” canticchiati entrando in un bar, acquistando una copia de “Il Corriere dello Sport” dall’edicolante romanista, oppure chiedendo al farmacista giallorosso sotto casa se gli è rimasta una confezione di “Malox”.Questo è il giorno del massacro, anzi dell’inizio di un massacro sportivo destinato a durare settimane, mesi, forse addirittura anni, perché come ha urlato questa mattina al microfono un noto conduttore romanista, la sconfitta di ieri è un’onta impossibile da lavare, una ferita che resterà aperta in eterno.

L’immagine di De Rossi piegato a terra, mentre a due passi da lui i giocatori della Lazio festeggiano un successo già entrato nella storia, è il simbolo di quello che sta succedendo in una città in cui è calato un silenzio quasi irreale. Il silenzio dei “perdenti”, di quelli che già convinti di aver messo le mani sulla Coppa Italia avevano dipinto la sfida di ieri come la “partita delle partite”. Di quelli che avevano già preparato un posto per la stelletta d’argento da cucire sulla nuova maglia e che ora le uniche stelle che potranno vedere nei prossimi mesi saranno quelle del cielo, se e quando riusciranno a rialzare la testa. E’ il silenzio di quelli che senza memoria storica ricadono sempre nello stesso errore, di quelli che festeggiano sempre prima di aver vinto e che dopo il big bang di ieri oggi si sono estinti come i dinosauri. E’ il silenzio di quelli che come il mitico Stefano Romita avevano già apparecchiato la tavola del banchetto per festeggiare una vittoria (secondo loro) già scritta e che ci avevano regalato perle come questa pubblicata su “Il Romanista”.

“Nulla potrà fermarci. Abbiamo il Papa dalla nostra parte che ha scelto un nome che è una garanzia per tutti noi. E abbiamo il calciatore in attività più forte del mondo degli ultimi venti anni di storia del calcio. Che altro abbiamo? Abbiamo mezza stella d’argento da sceriffi già cucita sul rosso della maglia. Chi ce la strappa? Lotito e i suoi pennuti boys? La mala sorte? Un arbitraggio maledetto? Nulla. Tranquilli. Nulla potrà toglierci quello che è giusto, stabilito e deciso. Me ne tornerò senza voce, senza casco, senza sonno e senza fame. E nel tragitto che mi riporterà a casa farò un bel giro largo e passerò a Trastevere, mi farò tutto il lungotevere in un senso e nell’altro, salirò al Gianicolo e poi al Pincio, traverserò piazza Navona e Fontana di Trevi, urlerò in Prati, davanti a Vanni, tutto il mio amore per la Roma. E me ne tornerò a casa sfinito, sporco e sudato. Farò una lunga doccia. E mi siederò a tavola, sorridente. E realmente soddisfatto di essere nato qui”.

Non so se ridere o piangere, ma sono comunque lacrime di gioia: per la vittoria, ma per essere da sempre diverso da loro. In queste settimane loro abbaiavano alla Luna, festeggiavano un sesto posto celebrando quel punto di vantaggio con liriche sul sorpasso e per un effimero primato cittadino, convinti che quel misero punticino fosse un segnale Divino e non un tranello, un beffardo scherzo del destino. Noi abbiamo osservato, ci siamo chiusi nel nostro rituale silenzio, limitandoci a dire a mezza bocca “non succede, ma se succede”… Ed è successo, come e forse addirittura meglio di quanto avevamo immaginato nel più bello dei sogni di questa lunghissima e tormentatissima vigilia. E’ successo e ora ci godiamo in pieno questo successo, godendoci questo silenzio tombale calato sulla città Eterna, cercando un posto in prima fila per assistere al tormento del “nemico”. Quanto è bello godersi questo “lutto nazionale” di cui parlava l’ex candidato a sindaco Alfio Marchini, anche lui travolto nelle urne come è successo ieri dalla sua Roma. Quanto è bello leggere di Osvaldo che insulta Andreazzoli e non partecipa neanche alla premiazione oppure delle sassate e degli insulti indirizzati agli ex idoli tornati in quel di Trigoria. Che gusto ascoltare le loro trasmissioni radiofoniche, con la gente che chiama e urla, con le petizioni lanciate per cacciare la dirigenza “laziale” da Trigoria. Che gusto vedere e rivedere le immagini di quel post partita, con gli arroganti in campo che rientrano negli spogliatoi a testa bassa e con gli occhi lucidi. Erano già in stampa magliette le magliette celebrative, erano già pronte le edizioni straordinarie dei giornali ma anche poster, dvd e libri per celebrare l’ennesimo record. L’unico record che potranno celebrare è quello del quindicesimo derby perso dal “capitano”, il “giocatore più forte del Mondo in attività degli ultimi vent’anni”, come ha scritto senza enfasi il mitico Stefano Romita. Il giocatore che ha perso più derby nella storia, per noi che all’enfasi preferiamo le statistiche.

Si potrebbero scrivere libri sugli sms di scherno e sui post sui social network partoriti da ieri sera. Perché mentre i romanisti sono prevedibili quanto i cambi di stagione sul calendario o l’arrivo dell’ora legale, noi usiamo da sempre la fantasia per stupire, per spiazzare l’avversario. E anche questa volta li abbiamo colti di sorpresa. Loro, come novelli barbari, avrebbe messo a fiamme e fuoco la città in caso di vittoria, dando vita ad una “peperonata” che forse avrebbe fatto addirittura impallidire quella della lunghissima estate del 2001. E non riescono a capacitarsi del fatto che noi abbiamo festeggiato ma senza eccessi, che oggi siamo usciti di casa vestito normalmente e non come se fosse Carnevale come avrebbero fatto loro, tirando fuori le tute dalle buste di naftalina in cui le avevano riposte, coperti di giallorosso dalla testa ai piedi per farsi notare, come chi cerca disperatamente di dimostrare che è vivo o che esiste. “Non sapete manco festeggià”, è la frase che gli esce a mezza bocca, l’unico appiglio a cui cercano di aggrapparsi i più coraggiosi per cercare di reggere il confronto, di parlare anche in un giorno in cui non hanno più argomenti. Perché quella coppa alzata in faccia tronca sul nascere qualsiasi possibilità di confronto dialettico. Perché l’immagine di quella Curva Sud che si è svuotata a tempo di record è un’onta che al confronto fa impallidire anche il ricordo della disfatta di Caporetto. Quello che non sanno, è che la nostra festa è destinata a durare tanto e non immaginano neanche quanto. Sarà come una tortura per loro questa finale persa, come la goccia cinese che cade lentamente ma inesorabilmente sulla fronte fino a far impazzire il torturato.

Perché, parafrasando uno dei tanti striscioni apparsi nel derby “nessuno ancora sa esattamente come, dove e quando siete nati, ma adesso tutti sappiamo quando siete morti: ieri sera poco dopo le 19.50, al triplice fischio finale di Orsato”. E non è finita qui…

STEFANO GRECO – LAZIOMILLENOVECENTO



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