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C’è voglia di Lazio! E se non ci fosse Lotito…

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Lalaziosiamonoi

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C’è voglia di Lazio, tanta quanta non se ne vedeva da anni. Tanta quanta non se n’è mai vista in questi nove lunghi anni di gestione Lotito, forse anche più di quanta ce n’era in quella calda estate del 2004 quando Formello fu invasa per festeggiare il ritorno a casa di Paolo Di Canio. C’è una voglia di Lazio che riporta alla mente l’estate del 2003, quella dei 70.000 tifosi che in pochi giorni portarono circa 120 milioni di euro nelle casse della società sotto forma di aumento di capitale, quella del record di tutti i tempi di abbonati che portò a superare quel muro di 40.000 tessere che era rimasto un tabù anche per Sergio Cragnotti e per la Lazio più vincente di tutti i tempi.

C’è voglia di Lazio. Il merito è in gran parte figlio del successo in Coppa Italia che ha riacceso tanti cuori, ma non solo. Dopo anni di letargo e di passione chiusa in un baule messo in soffitta, in tanti hanno riscoperto il piacere di scendere in piazza insieme agli amici, di indossare una maglia biancoceleste magari con dietro scritto il nome di Nesta o di Veron, campioni di una Lazio che fu, oppure repliche della maglia dello scudetto del 1974, con il tricolore sul petto e il numero 9 di Giorgio Chinaglia sulle spalle.

C’è voglia di Lazio, una voglia di tirare fuori emozioni troppo a lungo represse, a causa di divisioni o spaccature. Una voglia che ha portato migliaia di tifosi a colorare di biancoceleste e di tricolore piazza di Spagna, sotto lo sguardo stupito, incuriosito e poi estasiato di migliaia di turisti che si sono fatti coinvolgere in una festa senza precedenti. Una festa di colori e di cori, senza eccessi ma coinvolgente e trascinante, alla quale era difficile se non impossibile sottrarsi.

C’è voglia di Lazio, al punto che oggi in migliaia nonostante la giornata di sole del primo week-end che profuma d’estate hanno rinunciato a fuggire verso il mare, perché nel tardo pomeriggio c’è un appuntamento goliardico che dopo gli attacchi e le offese degli ultimi giorni assume ancora maggior significato e aumenta la voglia di esserci, di scendere in piazza, di partecipare.

C’è una voglia di Lazio che domani spingerà migliaia di tifosi a prendere l’autostrada e poi la E45 per raggiungere Gubbio e sostenere i ragazzi della Primavera che contro l’Atalanta si giocano lo scudetto. Un’invasione festosa che non ha precedenti con il passato, che farà impallidire anche l’esodo dello scorso anno per la finale persa contro l’Inter. Perché non c’è paragone tra la voglia di Lazio di oggi e quella di un anno fa.

C’è voglia di riabbracciarsi, voglia di ritrovarsi, di respirare il sapore di emozioni antiche quasi dimenticate. Una voglia, però, che al momento si ferma davanti ai cancelli dell’Olimpico. Sì, perché in tanti hanno voglia di Lazio ma (giusto o sbagliato che sia, ognuno ragiona con la propria testa e giudica come crede…) in tanti non riescono a dimenticare e a seppellire definitivamente l’ascia di guerra. Se non ci fosse Lotito tra la gente e la Lazio, con la sua presenza ingombrante e per tanti inaccettabile, questo probabilmente sarebbe un anno da record, forse secondo solo a quello dell’estate 2003 ricordato prima. Ma Lotito purtroppo c’è e il risultato si vede, soprattutto al botteghino. Nella prima settimana di campagna abbonamenti, nonostante l’entusiasmo alle stelle, sono state staccate poco più di 500 tessere. E la colpa non è solo della crisi come vorrebbe far credere qualcuno. Dall’altra parte del Tevere stanno ad oltre 15.000 abbonamenti confermati, con 10.000 tessere sottoscritte in prelazione nelle prime due settimane, quelle dedicate solo agli abbonati della Curva Sud.

I numeri non sono tutto nella vita, bisogna anche saperli interpretare e leggere bene, ma dicono tanto. I numeri dicono che la presenza di Lotito è stata, è e continua ad essere come una sorta di macigno che blocca la strada, l’unica strada percorribile per tornare allo stadio. Basta fare un giro su forum e social network per toccare con mano la realtà, per capire che quel successo non ha cambiato niente nel rapporto tra la stragrande maggioranza della gente laziale e la società. Non ha aggiunto nulla alla fede incrollabile di chi nonostante tutto è rimasto fedele solo ed esclusivamente alla maglia, quasi facendo finta che Lotito non esista o che non sia mai esistito, così come non ha convinto chi ha abbandonato lo stadio e giurato di non tornare fino a quando ci sarà Lotito alla guida della società a rivedere le sue posizioni e a rompere quel giuramento. E’ una situazione paradossale, difficile da comprendere anche per tanti che vivono questa realtà, decisamente incomprensibile per chi osserva da lontano e non vive la realtà romana. Ma questa è la situazione.

Non è bastato un trofeo per spazzare via tutto, come non erano bastate due coppe alzate al cielo nell’estate del 2009 per riaccendere la fiamma. Forse non basterebbe neanche la conquista di una qualificazione alla Champions League o di uno scudetto per riportare dentro lo stadio qualcuno che ha partecipato alla festa di piazza di Spagna ed è pronto a scendere in piazza oggi e a marciare domani verso Gubbio. Perché le radici “dell’odio” sono oramai troppo profonde, perché le crepe con il passare degli anni si sono trasformate in spaccature fino a diventare fratture insanabili. Lo so, “odio” è una parola forte che apparentemente fa a cazzotti con la parola “amore”, ma la vita ci insegna che a volte il troppo amore si trasforma in odio quando diventa impossibile amare qualcosa o qualcuno fino in fondo, quando c’è una presenza ingombrante tra chi ama e l’oggetto dell’amore. E a quel punto, l’impossibilità di amare in pieno o l’amore tradito si trasforma inevitabilmente in odio e a quel punto diventa difficile rimettere insieme i pezzi del puzzle o sanare le fratture se non si rimuove l’ostacolo. E quell’ostacolo per molti è rappresentato da Claudio Lotito. Giusto o sbagliato che sia, purtroppo è così, anche in un momento di grande gioia e di voglia di partecipare e di condividere sentimenti troppo a lungo repressi.

Perché il laziale è un “animale” particolare. Lo è sempre stato. E’ ipercritico, incontentabile, un vero e proprio “rompicoglioni” capace di contestare sempre tutto e tutti, anche Umberto Lenzini e Sergio Cragnotti. Salvo poi amarli una volta usciti di scena e ancora di più se caduti in disgrazia, come è successo con il presidente del secondo scudetto. Basta pensare a quelle migliaia di persone davanti al carcere di Regina Coeli a manifestare a Sergio Cragnotti amore e solidarietà nel momento più difficile della sua vita, un’immagine che strideva con il ricordo delle migliaia di tifosi scesi in piazza per contestarlo dopo la cessione di Signori o con le centinaia che presero d’assalto il palazzetto di famiglia in via dei Cappuccini dopo la cessione di Nedved. Ma questo è il laziale: prendere o lasciare. E il laziale Lotito l’ha accolto a braccia aperte, poi ha capito come era fatto veramente e l’ha rifiutato. E nulla potrà farglielo più accettare. Perché Lotito non cambierà mai e perché chi è arrivato ad  “odiarlo” non rivedrà mai le sue posizioni. Alcuni lo “sopportano” per assenza visibile di alternative, altri fanno finta che non esista proprio, ma in tanti non sono disposti né a far finta di nulla né ad accettare compromessi. Né oggi né mai…

STEFANO GRECO – LAZIOMILLENOVECENTO



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