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Arancia meccanica

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Cronistoria di una violenta notte europea

Con l’ispirazione al capolavoro di Stanley Kubric, c’è già chi ha preso spunto per dare nomi a gruppi organizzati di tifosi o a linee di abbigliamento. La violenza espressa nella sera di un novembre di quarantacinque anni fa, però, non coinvolse solo le frange più calde delle curve, sconfinò anzi ben oltre. I tifosi laziali di vecchia data ce l’hanno ancora davanti agli occhi, come un nitido ricordo che suscita scalpore e, perché negarlo, un certo fascino. Quella notte romana dal sapore di odio romantico è una di quelle storie che ti fanno venire i brividi, per come ci è stata raccontata e per il rammarico, crescente nelle generazioni venute dopo, di non essere nati prima. Era un calcio autentico, genuino, forse anche troppo. Un’esasperazione del concetto di goliardia da stadio. Ma andiamo con calma.
Sette novembre del 1973. In pieno fermento politico, la Capitale vede violenza quotidianamente: rossi, neri, poliziotti e carabinieri; erano gli anni post contestazione sessantottina e gli animi restavano molto tesi. La Lazio aveva talento, eccome se ne aveva: Wilson, Chinaglia, Frustalupi. Uno squadrone… o una squadriglia. Assetati di risultati e sopraffazione sull’avversario, la banda Maestrelli nutriva di una passione smisurata per le armi e Sergio Petrelli, terzino capitolino biancoceleste, ne faceva da procacciatore. La banda girava armata. La banda ha visto contrasti intestini non banali, ma se c’era la necessità di stringersi in cerchio e scendere in campo compatti e duri come il diamante, l’ordine veniva eseguito con disciplina militare.
Torniamo a noi. Si giocava Lazio Ipswich, partita di ritorno di Coppa Uefa, coi ragazzi di Maestrelli che dovevano recuperare quattro gol incassati in terra d’Albione. Impresa che non riuscirà alla Lazio; la partita si è svolta in un clima che ricordava Sarajevo al momento dello smembramento della ex Jugoslavia. I giocatori aizzavano i tifosi e questi ultimi invadevano il campo e il settore ospiti. Volarono schiaffoni, calci e pugni agli avversari e, se qualcuno non avesse provveduto a raffreddare i nervi, ci avrebbe rimesso anche l’arbitro: alcuni tifosi, credendo che quest’ultimo fosse in un’ambulanza, cominciarono a spintonare e a scalciare una camionetta. Il portiere della squadra inglese rimedierà una frattura e i probabili responsabili saranno ricercati nelle persone di Pino Wilson e Petrelli.
Dunque, la serata si concluse tra vetri rotti, panchine ribaltate, feriti tra tifosi, giocatori e ufficiali competenti e Union Jack bruciate. Eppure, ciliegina sulla torta, la Lazio giocò una gran partita: pressing a tutto campo, quasi zero contrasti persi e quattro gol segnati, frutto di una manovra avvolgente ed espressa con qualità. Peccato per i due gol presi in casa.
Staremmo istigando alla violenza se ci compiacessimo di tale follia, ma saremmo falsi e ipocriti se mentissimo di provare un certo orgoglio per una lazialità così fortemente difesa, come nelle storie di amore morboso.

 



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