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A che punto siamo col brand S.S. Lazio?

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Facciamo il punto della situazione sull’immagine che la Lazio da di sè

L’economista e manager Giancarlo Pallavicini, uomo di governo del politico sovietico Gorbačëv, negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso e dunque in piena perestrojka, ha anticipato i concetti di responsabilità sociale d’impresa e di marketing; quest’ultimo ramo dell’economia giova tutt’oggi di una delle sue definizioni, che recita in questo modo: “Il marketing viene definito come quel processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotto e valori. È l’arte d’individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un profitto: delivery of satisfaction at a price. Il marketing management consiste invece nell’analizzare, programmare, realizzare e controllare progetti volti all’attuazione di scambi con mercati-obiettivo per realizzare obiettivi aziendali. Esso mira soprattutto ad adeguare l’offerta di prodotti o servizi ai bisogni e alle esigenze dei mercati-obiettivo ed all’uso efficace delle tecniche di determinazione del prezzo, della comunicazione e della distribuzione per informare, motivare e servire il mercato”. Il marketing ed il digital marketing alle dipendenze dell’industria e dell’imprenditoria in generale sono in una fase di evoluzione continua, contaminando irreversibilmente il calcio che, con i suoi sette punti percentuali, più di tutti ‘pesa’ sul Prodotto Interno Lordo italiano: nello specifico le squadre che animano le competizioni, sentono il bisogno di presidiare al meglio i loro spazi pubblicitari occupati e di allargarne i confini, puntando sulle promozioni virtuali e sulle reti globali. Tali connessioni offrono l’opportunità di approdare in porti potenzialmente remunerativi, facendo leva sulla reputazione e sull’immagine.

Negli ultimi dieci anni, le compagnie calcistiche che si sono inserite con successo nei mercati stranieri (soprattutto negli States e in Asia) proponendo strategie di digital marketing mirate, appartengono all’ambita e competitiva Premier League inglese, con Manchester United e Liverpool che, più di tutte, rimpinguano le proprie casse sottoscrivendo sponsor faraonici con magnati dell’industria tessile, motoristica e altro ancora. Premier League e Liga sono le due competizioni con più appeal al di fuori dei confini europei. Il campionato nostrano, rimasto orfano dei padri-presidenti con più voglia di vincere che di incassare (Moratti, Berlusconi, Gianni Agnelli) e della loro capacità di importare eccellenze espresse dai migliori vivai del mondo, si presenta con notevole ritardo alla sfida che si gioca sul terreno del marketing, che viene inteso come comunicazione (ufficio stampa e new media), commerciale (accordi di sponsorizzazzione, vendita spazi pubblicitari, co-marketing) e brand licensing, ovvero la concessione dei diritti di immagine di un club a un altro soggetto affinché questo possa utilizzarli traendone benefici economici (esempio di facile comprensione: l’apposizione del marchio della squadra su prodotti di vario tipo).

La Società Sportiva Lazio, ramo calcistico della più antica Polisportiva d’Europa, rispecchia nel capoluogo romano la medesima stagnante situazione nazionale, distinguendosi in negativo rispetto alla concorrente Juventus, attualmente nostra rivale in corsa per il titolo, e rispetto agli osteggiati cugini dell’altra sponda del Tevere. I motivi del ritardo accumulato nei confronti dei rivali sono presto detti. La sola sponsorizzazione tecnica del colosso Nike sulle maglie giallorosse dell’AS Roma è documentata dal contratto stipulato nel 2013, da cui si legge: “Il contratto prevede, il pagamento di un signing bonus di Euro 3.000.000 (tremilioni/00) alla data di stipula del contratto nonché ulteriori bonus per un importo di Euro 3.000.000 (tremilioni/00) alla data di stipula del c.d. Long-Form Contract che è stato sottoscritto in data 5 agosto 2013. Oltre ai citati bonus, che sono stati puntualmente corrisposti, il contratto prevede il riconoscimento in capo al Club di (i) un compenso fisso annuale di Euro 4.000.000 (quattromilioni/00), salvo (A) per il 6° e il 7° anno di contratto, in cui è previsto un aumento in funzione dell’eventuale aumento dell’indice ISTAT entro un limite massimo del 3%, (B) per l’eventuale anno di apertura di un nuovo stadio (c.d. Stadiun Opening Year), in cui il compenso fisso, qualora siano soddisfatte le condizioni previste nel contratto, verrà incrementato di una somma pari a un massimo di Euro 1.000.000 (unmilione/00), e (C) per ciascun anno successivo al c.d. Stadiun Opening Year in cui siano soddisfatte le condizioni previste dal contratto, il compenso base sarà pari ad Euro 5.000.000 (cinquemilioni/00)”. La comunicazione giallorossa si fa forte anche della creazione di una piattaforma appositamente dedicata (“Roma is not only football is a multimedia entertainment company”) e si muove sul fronte commerciale e sul brand licensing con il lancio del Progetto Global, affiancato dalla sponsorizzazione con la compagnia aerea Fly Emirates e dalla costante e ormai radicata presenza di molteplici punti vendita sul territorio capitolino.

Il bilancio sano e l’appetibilità nei confronti degli investitori che suscita la Società di Formello fanno da contraltare al quadro finanziario dissestato della compagine romanista; a queste considerazioni, bisogna purtroppo constatare che all’appuntamento col futuro che si gioca (e si sta tutt’ora giocando) sul terreno della pubblicità, in casa Lazio, c’è ancora molto da lavorare. Se lo slogan d’appartenenza dei tifosi biancocelesti recita “Alla Lazio ci pensano i Laziali”, è pur vero che la scarna presenza allo stadio causa un danno d’immagine di primaria importanza alla Società; le contestazioni degli ultimi anni al Presidente Lotito hanno fatto sì che la Lazio venisse relegata costantemente alle spalle delle più inflazionate squadre-sorelle del calcio italiano. A questa apparente pigrizia del tifoso medio, fa eco l’assenza, fino al dicembre dello scorso anno, di un punto vendita ufficiale all’interno delle mura cittadine: l’impressione di un turista che giunge a Roma, specie se la prima volta, sui rapporti di forza tra le due squadre propende amaramente in favore dei giallorossi. Il web marketing, sebbene rappresenti il presente e l’immediato futuro, non ha scalzato (anzi, ha rafforzato) l’importanza dello street marketing (insieme di strategie e tecniche di marketing implementate su strade pubbliche con l’obiettivo di creare un impatto maggiore tra i consumatori; ciò che fa la differenza rispetto ad altri tipi di campagne è che molte volte le persone lo interpretano come un’esperienza e non come pubblicità). Sul fronte del commerciale non migliora la situazione: se ai 28 partner dell’AS Roma, divisi tra tecnici, ufficiali, suppliers, premium e main global, rispondono i soli 14 laziali (esattamente la metà), appare chiaro come la situazione non riesca ad offrire spunti ottimistici. La comunicazione è stata inoltre soggetta varie volte a critiche: agli appelli inascoltati che invocavano comunicati e prese di posizioni nei confronti di giornali, vertici e in generale esponenti del mondo del calcio che a più riprese hanno mostrato irriverenza e mancanza di considerazione nei confronti del nostro club, contribuiscono a ridimensionare il nostro brand anche infelici uscite di referenti societari (vedasi: https://www.since1900.it/arturo-diaconale-ed-il-termine-lazietta-botta-e-risposta-sui-social/), nonchè fiacche e poco convincenti campagne pubblicitarie in occasione dell’apertura delle Campagne abbonamenti.

La strada da percorrere è ancora lunga, ma la spinta di cui gode la Società Sportiva Lazio è invidiabile dallo stesso competitor rivale presente a Roma: l’attuale posizionamento in classifica, il maggior numero di successi e la buona salute di cui gode la S.P.A. sono elementi a suffragio della tesi che vede il futuro predominio biancoceleste nella ‘guerra’ di marketing come un elemento auspicabile.



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