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UNA NOTTE DI SOPRUSI

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ARRESTI
Un coro di proteste e soprattutto rabbia, tanta rabbia. Da giornalista sono abituato a non fidarmi ciecamente delle confidenze, ma al tempo stesso a non credere ciecamente alle versioni ufficiali, perché da questo punto di vista il G8 dovrebbe aver insegnato qualcosa, almeno qui in Italia. Quindi, ieri sera a caldo non ho scritto una riga. Ho sentito una decina di amici presenti a Varsavia, ho ascoltato le fonti ufficiali e ho notato che c’è qualcosa che non torna. Qualcosa è successo, qualcuno ha tirato sassi, ma non si era mai vista in Europa una retata del genere in una serata in cui non c’è stato neanche un ferito. E dai racconti è emerso anche di perquisizioni preventive, di stanze controllate senza testimoni, in un clima da vecchi KGB più che da paese civile entrato a far parte della Comunità Europea.

Chi mi conosce sa che non ho mai difeso a priori nessuno, ma l’impressione è che questa volta si sia veramente esagerato, sfruttando come scusa la nomea che si sono fatti i tifosi della Lazio, soprattutto nella passata stagione. Ma è anche vero che ad un certo tipo di comunicazione fa gioco sparare a zero sulla Lazio, anche perché dall’altra parte non trova nessuna opposizione. Basta pensare a quell’agguato a Campo dei Fiori ai tifosi del Tottenham, con fango gettato a piene mani sulla Lazio e i suoi tifosi, quando il raid aveva matrice politica-razziale e non sportiva e tra gli arrestati la maggior parte erano tifosi della Roma. Queste sono le testimonianze che ho raccolto.

“Ci hanno trattato come prigionieri di guerra, senza diritti, ammassati a fine partita vicino ad un fiume con i cani della polizia che ci saltavano addosso. Noi siamo andati all’appuntamento fissato e come siamo arrivati la polizia ci ha fermato in un vicolo. Ci hanno tenuti lì per 40 minuti per controlli, poi ci hanno portati allo stadio. Ma sono stato solo fortunato, perché tra i 120-150 fermati ci sono alcuni amici, ragazzi che non hanno mai girato con coltelli o bastoni ma che sono stati portati via solo perché stavano nel gruppo che marciava con il corteo”. E’ la denuncia di riccardo, intervistato da Radio Capital.

Alessandro Nicoloso fa il broker per lavoro e per passione fa il dj. Ha una sua trasmissione musicale a Radio Manà Manà e a Roma per tutti è “EiacuLazio”, soprannome figlio del suo stendardo dell’epoca dei grandi trionfi cragnotiani che campeggiava al centro della curva e ovunque giocasse la Lazio. Amante del freddo e della montagna, ha fondato la “Brigata Santa Klaus”, che altro non è che un gruppo di amici (compresa la sorella Anna) che segue la Lazio ovunque, dal ritiro a tutte le trasferte, soprattutto quelle in Europa.

“Ti assicuro che non avevo mai visto nulla del genere. Noi ci siamo salvati solo perché nel nostro gruppo c’erano molte donne e quindi abbiamo evitato il corteo. Ma non è successo nulla di grave, te lo assicuro. E il clima era ostile fin dall’inizio. Perquisizioni ovunque, test su alcol e droga fatti prendendo le persone a caso in mezzo al gruppo, pensa che a mia sorella hanno sequestrato addirittura gli adesivi della Lazio e a me lo stendardo ‘brigata Santa Klas’ solo perché all’interno c’è un teschio. Una follia, arresti di massa che neanche al G8 di Genova e lì successe di tutto, mentre a Varsavia non è successo nulla, non c’è stato neanche un ferito tra i tifosi del Legia o tra le forze dell’ordine. E questo la dice lunga”.

Claudio Flore fa l’impiegato, ha 27 anni, vive a Como per lavoro ma è romano e laziale da sempre:“Siamo stati trattati da animali. Cose che in Italia sarebbero classificate come violazione dei diritti fondamentali e della libertà personale. Perquisizione in albergo e occhi addosso ovunque. Noi siamo nell’occhio del ciclone e in alcuni casi ce la siamo anche voluta, ma da nessuna parte mi era mai capitato un trattamento del genere. Quattro perquisizioni in 3 metri prima di entrare allo stadio, etilometro, all’uscita scortati per step a gruppi di cinque verso i taxi, insultati dai poliziotti e poi abbandonati per la città, come se non fosse bastato quello che era successo prima, dopo alcuni ragazzi sono stati portati in bocca agli ultras del Legia a prendere le botte. Quelli del Legia si sono permessi quello che hanno visto tutti a Roma, hanno imperversato in città completamente ubriachi e nessuno ha fatto nulla, mentre noi per una birra venivamo fermati. È vero che c’è stato qualcuno che da sotto l’Hard Rock Café ha tirato dei sassi contro una camionetta, ma siamo stati fermati tutti, ci hanno buttato per strada come bestie, ammanettati. E solo alcuni sono riusciti a vedere la partita. Un trattamento disumano in quel freddo assurdo. E poi devo anche leggere sui giornali che siamo stati noi a creare casini per la città! Spero che darete la voce anche a noi che abbiamo la bocca tappata da questo sistema che ci considera scomodi”.

Mirco Marchitti vive a Milano, è sposato e ha un lavoro. E’ romano di nascita, ha 37 anni e da una vita segue la Lazio in Italia e in Europa. Ne ha viste tante, ma un’esperienza del genere non l’aveva mai vissuta. “E’ stata una vera e propria retata, un’azione di stampo militaresco. Presi, buttati a terra e caricati sui cellulari e portati via. Alcuni più fortunati sono riusciti a scappare, tanti no, tra cui un mio amico che fino alle 21 era ancora in stato di fermo e che poi non sono più riuscito a sentire. Allo stadio all’ingresso ci hanno fatto l’alcol test, il droga test con un tampone, alcuni sono stati costretti anche a spogliarsi all’aperto, con la temperatura sotto zero. All’uscita non ti dico, ha iniziato pure a piovere ed eravamo tutti li al freddo. Ci hanno portati fuori dallo stadio e ci hanno fatto fermare in una stradina. E da li ci ‘liberavano’, perché il termine esatto è proprio questo: 4/5 alla volta e caricati su un taxi. Noi siamo stati tra i primi 150/200 forse e siamo andati via alle 23.20, qualcuno è rimasto li fino all’1 di notte. Ed è continuata questa mattina all’aeroporto, dove appena scoprivano che eri italiano e non polacco ti facevano spogliare. Mai vista una cosa del genere, indegna di un paese che si definisce civile. Poi le bestie siamo noi”.

“Siamo stati abbandonati da tutti, anche dalla società”, dice Simone, “e questa volta non c’entravamo proprio niente. In passato abbiamo sbagliato e nessuno si è mai lamentato, ma stavolta no. La Polizia, se vedeva un gruppo di una decisione di persone in mezzo alla strada, anche solo ferme a parlare ma con indosso sciarpe della Lazio, arrivava, ti prendeva, ti fermava, controllava i documenti, perquisiva, faceva alcol test volanti e poi se era tutto a posto ti rilasciavano. Ma se solo provavi a protestare per il trattamento, ti portavano via. Hanno esagerato in tutto prima ma anche dopo la partita. Ci hanno lasciato dentro lo stadio per oltre tre ore in quel gelo, poi ci hanno fatto uscire 5 alla volta, fregandosene se stavi con un gruppo di amici, perché fuori non c’erano autobus o navette, ma solo dei taxi”.

E intanto, chi è rimasto a Varsavia sta vivendo una vera e propria odissea, senza nessun aiuto da parte dell’ambasciata italiana. Federico, 23 anni, romano, è quasi disperato: “Qui non si capisce nulla, non si sa cosa dobbiamo fare. Non ho notizie di due miei amici da 24 ore. Sono andato tre volte in ambasciata ma non si sbilanciano sui tempi e non ti dicono nulla su come stanno le persone in stato d’arresto. In tibunale oggi hanno finito i processi di alcuni dei 17, trattenuti perché non hanno da pagare i 1600 zloty di multa. Mentre altri ragazzi sono usciti pagando soltanto 200 zloty di multa. In caserma non mi rilasciano informazioni perché non sono un familiare. Risultato: sto da solo a Varsavia, con un volo spostato e due persone che non so quando possono uscire”.

stefano greco



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