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Urbano Cairo apre alla vendita, ma senza offerte: quale futuro per il Torino?

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Urbano Cairo al Festival dello Sport di Trento: il presidente del Torino valuta la vendita del club ma lamenta assenza di offerte.
Urbano Cairo al Festival dello Sport di Trento: il presidente del Torino valuta la vendita del club ma lamenta assenza di offerte.

Nel corso del Festival dello Sport di Trento, Urbano Cairo ha ribadito la disponibilità a cedere il Torino. Nessuna trattativa, però: “Offerte non ce ne sono”. Un refrain già sentito nei mesi scorsi e accompagnato da una puntualizzazione: il presidente rivendica un ventennio di stabilità economica ed equilibrio gestionale, ma “non resterò a vita”.
Il tema è quindi duplice: da un lato la solidità dei conti; dall’altro la povertà di risultati sportivi che alimenta la contestazione. E in mezzo una domanda che rimbalza tra i tifosi: com’è possibile che un club sano e storico non trovi acquirenti?

Venti anni tra stabilità e limiti: numeri e prospettiva

La fotografia economica è chiara: circa 80,7 milioni immessi da Cairo in 20 anni (poco più di 4 milioni l’anno in media), un cumulato dei risultati d’esercizio in rosso per ~87,6 milioni, ma con un utile 2024 a doppia cifra grazie alle plusvalenze (Buongiorno al Napoli, Bellanova all’Atalanta).
Sul piano sportivo, però, l’asticella resta bassa: due settimi posti (2013/14 e 2018/19), qualche viaggio europeo “di rimpallo” e il ricordo epico di Bilbao 2015. Troppo poco per un club dal tremendismo granata scolpito nella memoria, dal mito del Grande Torino allo scudetto del 1975/76 e alla finale di UEFA 1992. Anche il derby con la Juve racconta una distanza: 1 vittoria, 7 pareggi, 24 sconfitte nell’era Cairo.

“Attenzione a chi compra”: un monito legittimo

Cairo sottolinea un punto sensibile: vendere non basta, serve capire a chi. E porta esempi di club finiti peggio dopo un passaggio di mano. Il paragone con la Sampdoria recente, caduta sportivamente nel post-Ferrero prima del salvataggio, è un avvertimento. Il ragionamento ha un fondamento: la solidità è un valore, specie in un calcio italiano ancora fragile.

Ma allora perché nessuna offerta? Tre ipotesi (concrete)

  1. Valutazione fuori mercato. In un contesto dove fondi e investitori esteri comprano quasi ovunque (dalle big alle provinciali), l’assenza di proposte su un club “pulito” fa pensare che il prezzo chiesto sia elevato rispetto a ricavi attuali e potenziale immediato.
  2. Timing e catalyst. Un acquirente valuta catalizzatori di valore: stadio in controllo, centri sportivi, crescita ricavi matchday e commerciale. Se questi asset non sono ancora “sbloccati”, il deal slitta o si chiede sconto.
  3. Narrativa sportiva debole. Bilanci ok, ma brand sportivo poco competitivo: senza un progetto tecnico convincente, anche un investitore paziente esita.

Il nodo infrastrutture: lo stadio come leva (o freno)

Il Grande Torino è stato liberato dalle ipoteche storiche: si attende la perizia Praxi su valori e opzioni (vendita, diritto di superficie 99 anni, oppure canone pluriennale). Cairo ha detto di aspettarsi condizioni “simili alla Juventus”: se l’intesa arriverà, lo stadio potrà diventare un asset valorizzabile (matchday, corporate, hospitality, naming).
C’è poi il Robaldo, centro giovanile in sviluppo: campi già operativi, palazzina servizi in completamento con orizzonte inizio 2026. Insieme al Filadelfia, compone un puzzle infrastrutturale che aumenta l’appeal del club.
Tradotto: se stadio e facility si sbloccano, il valore del Torino cresce. E qui l’altra domanda: conviene a Cairo vendere prima o dopo questo “upgrade”?

Identità contro gestione: l’eterna frizione

I contestatori accusano Cairo di aver “cloroformizzato” l’anima granata: prudenza sui conti, ambizioni misurate, poca fame. Dall’altra parte, il presidente rivendica di aver messo in sicurezza il club dopo decenni difficili. La verità sta nel mezzo: l’epica del Toro pretende orgoglio e rischio controllato, ma il calcio post-pandemia insegna che senza sostenibilità non si va lontano.
Il punto è trovare un equilibrio: investire meglio (non per forza di più), alzare competenza sportiva, costruire una narrazione forte che trasformi il Torino in progetto appetibile per sponsor, pubblico internazionale e — soprattutto — per chi vorrà comprarlo.

Conclusione: prezzo, progetto e tempi

Se prendiamo per buone le parole di Trento (“offerte zero”), due sono gli snodi:

  • Prezzo: riallinearlo alle metriche di mercato (multipli su ricavi/EBITDA prospettici, sconto esecuzione su stadio).
  • Progetto: dettagliare piano sportivo e infrastrutturale con milestone temporali chiare (stadio, Robaldo, ricavi), così da creare il catalyst che oggi manca.
    Solo allora capiremo se il problema è davvero “mancanza di compratori” o mismatch tra valore richiesto e valore percepito.


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