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Secolo XX, Via Vittorio Veneto, Roma

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Un pezzo di Romanità intriso di Lazio e Dolce Vita

Per capirla, andrebbe percorsa, esprimendoci in romanesco, “a ‘na certa maniera”. Dimenticate zaino in spalla, blue jeans, airpods e gingilli di manifattura moderna; su la camicia bianca, collo alla francese e nodo della cravatta nera stretto, strettissimo. Per l’inverno si scelgano anche colori kashà, con microfantasie e fini trame ricamate da sapienti artigiani. Attendete pazientemente le ore notturne, permettendo alle brulicanti vie dell’Urbe di smaltire la calca e il brusio diurno e accingetevi a raggiungere piazza Barberini in direzione Porta Pinciana. La strada che percorrerete sarà via Veneto, o Vittorio Veneto.

Nata sul finire dell’Ottocento in piena febbre edilizia post-impresa di Porta Pia, essa rappresenta uno spaccato storico e urbano della storia capitolina e italiana, resa celebre dalle figure più note della risorta scena cinematografica italiana del dopoguerra. Se ad oggi ne apprezziamo il patrimonio storico e identitario, va ricordato come tale strada venne alla luce in virtù all’abbattimento di un edificio dall’inestimabile valore artistico come Villa Ludovisi, descritta con ammirazione dallo scrittore britannico Henry James, il quale ebbe addirittura a dire che non v’era “…nulla di più bello a Roma”. La pesante eredità artistica e urbanistica che raccoglieva la nascente via ha però cozzato con le necessità della nuova borghesia liberale romana e, da poco tempo, italiana, di legittimare la propria presenza in quel che rappresentava il coronamento del sogno risorgimentale di mazziniana memoria: l’Unità dell’Italia con Roma Capitale. Via Vittorio Veneto collega due principali Rioni dell’Urbe: il III Colonna e il XVI Ludovisi, partendo, come detto in precedenza, da Piazza Barberini (attuale Centro Storico) e confluendo verso le antiche Mura Aureliane, si fiancheggiano Palazzo Piacentini e Palazzo Biagi, rispettivamente sedi istituzionali dei Ministeri di Sviluppo Economico e Lavoro, nonché il Palazzo Margherita, sede dell’Ambasciata americana a Roma. Si comprende dunque la funzionalità che tale arteria assume, riflettendo anche sull’origine vittoriosa ed epocale che il nome richiama, ma fermarci all’importanza meramente politica e urbanistica sarebbe riduttivo, quasi offensivo. In via Vittorio Veneto nacquero e si susseguirono nel corso del Novecento numerosi locali alla moda e bar di fama internazionale, come l’attualmente in voga Harry’s Bar, dove venivano costantemente paparazzate celebrità del calibro di Mel Gibson, Woody Allen e Marcello Mastroianni, protagonista quest’ultimo dei ruggenti anni ’60, ambíto seduttore e attore di punta del pluripremiato film La dolce vita di Federico Fellini. Oltre ad essere stata minuziosamente ricostruita a Cinecittà, nel famoso cuore pulsante del periodo della Dolce Vita sono state girate alcune scene del colossal La grande bellezza, capolavoro di Paolo Sorrentino, odierno erede di Fellini, a testimonianza di come il fascino della via Veneto resista al tempo.

Il susseguirsi di numerosi avvenimenti burrascosi risalenti ai primi due decenni del secolo Ventesimo coinvolsero integralmente l’ambiente laziale. La Società Polisportiva, nata pochi anni prima dall’intuizione di giovani ardimentosi romani, si apprestava a lasciare per sempre la sede di via delle Coppelle per approdare proprio in via Vittorio Veneto, nel mezzo dell’edificazione della Roma Umbertina. In un ex convento da poco restaurato, dopo aver battezzato vittoriosamente il Campo della Rondinella, la Lazio decise di trasferirsi in via Vittorio Veneto ex numero civico 7. Nella casa dei biancocelesti, al di fuori del contesto sportivo e a coronamento dell’elezione ad Ente Morale da parte di S. M. il Re Vittorio Emanuele III, si alternarono numerosi eventi culturali come concerti d’orchestra diretti da artisti del calibro di Carlo Zecchi e Teofilo De Angelis, l’organista Marco Enrico Bossi e la violinista Maria Fiori, eletta poi socia benemerita, con la partecipazione inoltre delle popolarissime voci del tenore Giacomo Lauri Volpi e dei baritoni Antonio Cotogni, Carlo Galeffi e Benvenuto Franci. L’elenco non si ferma qui, poiché il quartier generale della Polisportiva conquistò un ruolo sempre più alto tra i ritrovi intellettuali di Roma: le assemblee culturali che vi si svolgevano, infatti, videro addirittura la partecipazione di Umberto di Savoia e Grazia Deledda, scrittrice di punta del Secolo XX. La sede, dotata di ampli ed eleganti saloni, ospitava le sezioni di scherma, boxe, ballo, ginnastica, filodrammatica, football, sport atletici, nuoto, canottaggio, escursionismo e persino la direzione di un giornale di vocazione sportiva e in pieno stile liberty, denominato Lazio e diretto da Cesare Mariani. Sebbene la dislocazione delle sedi non è tutt’oggi ben chiara nella mappa del complesso edificio, nell’epoca del Presidente Ballerini la Polisportiva si distinse ancora una volta per altruismo e benemerenza: nel maggio-giugno 1915 fu istituito un Asilo per ospitare bambini poveri, orfani o figli dei soldati impegnati in guerra.

La conferma del patrimonio nazionale che ricopre una squadra come la Lazio è dunque scritto nelle testimonianze storiche, nelle mura e negli edifici di una Città che non ha mai smesso di onorare con i fatti. In via Veneto, come su Ponte della Regina Margherita o in Piazza della Libertà, c’è un pezzo di lazialità che ogni tifoso dovrebbe approfonditamente conoscere.

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