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Lazio, dopo Parma silenzio totale: così si legittimano i torti

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Dopo Parma-Lazio e due rossi giudicati inesistenti, la società resta in silenzio. Nessuna protesta ufficiale: così si legittimano i torti arbitrali.

Due cartellini rossi inesistenti, una partita vinta eroicamente in nove uomini e, come troppo spesso accade, il silenzio totale della società. Dopo l’ennesimo episodio arbitrale pesantemente sfavorevole alla Lazio, questa volta nella trasferta di Parma, da Formello non è arrivata alcuna presa di posizione ufficiale. Nessuna conferenza stampa, nessuna dichiarazione davanti alle telecamere, nessuna nota di protesta. Nulla.

Ed è proprio questo silenzio a far più rumore di tutto.

La gara del Tardini ha rappresentato l’ennesimo capitolo di una stagione segnata da decisioni arbitrali discutibili, quando non apertamente ingiustificabili. Due espulsioni che gran parte dell’ambiente biancoceleste giudica inesistenti, arrivate in momenti chiave della partita e che avrebbero potuto compromettere seriamente il risultato. Solo grazie a una prova di carattere straordinaria la Lazio è riuscita a portare a casa i tre punti.

In conferenza stampa, Maurizio Sarri ha fatto quello che ha potuto. Ha parlato di “rossi frettolosi”, di “mancanza di buon senso”, di interpretazioni eccessivamente rigide del regolamento. Ma non dovrebbe essere l’allenatore, da solo, a esporsi ogni volta. Il compito di difendere la società spetta alla società stessa.

E invece, ancora una volta, né Claudio Lotito né Angelo Fabiani si sono fatti sentire. Nessuno dei due si è presentato davanti ai microfoni per tutelare il club, i giocatori e l’allenatore. Un atteggiamento che ormai non può più essere considerato casuale o episodico.

Nel calcio moderno, il peso politico conta. E conta moltissimo. Le società che protestano, che alzano la voce, che chiedono spiegazioni pubbliche, spesso ottengono almeno attenzione. La Lazio, al contrario, sembra aver scelto la strada dell’accettazione passiva. Ma accettare in silenzio significa legittimare.

Legittimare decisioni arbitrali discutibili.
Legittimare una gestione che penalizza sistematicamente la squadra.
Legittimare l’idea che contro la Lazio si possa sbagliare senza conseguenze.

I numeri parlano chiaro: la Lazio è la squadra con più cartellini rossi in Europa, pur non essendo tra quelle che commettono più falli. Tre espulsioni nelle ultime due partite. Un dato che dovrebbe far scattare un campanello d’allarme a livello dirigenziale. E invece tutto tace.

Il messaggio che passa è pericoloso: se la società non difende se stessa, perché dovrebbero farlo gli arbitri, gli organi federali o chi governa il sistema? Il silenzio non è neutralità. Il silenzio, in questi casi, è una presa di posizione implicita.

La sensazione è che la Lazio venga lasciata sola, con Sarri a fare da parafulmine e i giocatori costretti a subire decisioni sempre più severe. Una dinamica che nel lungo periodo rischia di diventare strutturale, perché chi non protesta viene considerato debole.

Difendere la squadra non significa piangere o cercare alibi. Significa pretendere rispetto. Significa chiedere uniformità di giudizio. Significa mettere un confine oltre il quale non si accetta più di essere penalizzati.

Dopo Parma, quel confine è stato superato.
E il silenzio della società rischia di essere il vero errore più grave.




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