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Lazio, la malattia è (quasi) cronica: urge una cura

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luis alberto lecce lazio

Fossero i film già visti, il problema. La scarsa originalità non sarebbe imperdonabile di per sé. Il problema è quando si aggiunge anche una certa predilezione per i brutti finali. Di sicuro, il trend dellaLazio di fare cilecca nel secondo tempo è tutto, tranne che inedito. Un morbo ridotto a cronicità: la squadra d’Inzaghi se lo porta dietro dall’inizio dell’anno solare. La sfida contro la Spal è l’ultimo esempio. Anzi, penultimo: se i tifosi della Lazio avessero saputo che, appena quattro giorni dopo, a Cluj sarebbe andata in onda la fedele replica della partita di domenica, probabilmente l’interesse per l’esordio europeo si sarebbe sgonfiato inesorabilmente. A Ferrara, la Lazio sbaglia 25 minuti, analizza Inzaghi: in terra romena, le amnesie iniziano già da parecchi minuti prima. Dal dubbio rigore assegnato dall’arbitro per la trattenuta di Lucas Leiva su Djokovic. Episodio poco chiaro, ma che segna la regressione della Lazio, fin lì convincente. Fin lì in grado di dimostrare di aver capito la lezione impartita dalla piccola Spal. “Penso che siano due partite in fotocopia e mi dispiace molto, questo. In tre giorni avevamo lavorato sugli errori. Grandissimo primo tempo e poi non hai concretizzato. Puntualmente abbiamo pagato. C’è da lavorare tanto”: parola del mister. 

SECONDO TEMPO SHOCK (MA VIETATO DEPRIMERSI) – Amnesie, calo mentale, scarsità di idee, presunzione: tutte espressioni che occorrono, nel tentativo di giustificare i 22 punti (dopo la gara di stasera, 25) persi nei secondi tempi del 2019. Al di là degli sforzi linguistici, il blackout nella ripresa è ancora più evidente contro il Cluj. Come se la testa fosse rimasta tra le poltroncine e gli indumenti appesi in spogliatoio. Come se la grinta d’Inzaghi – instancabile, a bordocampo, con le sue indicazioni alla squadra – non fosse stata recepita. Lazio imprecisa, senza mordente: solo brutta, per niente cattiva. Contro la Spal, i cambi fantasia Milinkovic-Correa non sono serviti a granché. Più efficace la trappola tattica ordita da Semplici. A Cluj, resta il dubbio: chissà se l’ingresso di Immobile – lasciato a Roma, nell’ordine del turnover biancoceleste – avrebbe potuto fare di più. In ogni caso, la cura va trovata, e alla svelta. Perché lo scivolone a Ferrara e il brutto debutto in Europa League non pregiudicano nulla: dopo un grande inizio – perché l’esordio stagionale con la Sampdoria e la prestazione nel derby restano un ottimo inizio -, vietato lasciarsi subissare da insindacabile pessimismo. D’altronde, prima che una settimana shock lo oscurasse, la Lazio si era ritagliata – a ragione – il ruolo di squadra rivelazione, titolatissima per il quarto posto. Ma è necessario mettersi alle spalle questa tendenza autodistruttiva, a partire dalle prossime partite in campionato. E piantarla con gli autosabotaggi, perseverando con gli omaggi alle concorrenti. C’è ancora modo per invertire la rotta: Inzaghi deve ricominciare da dove aveva lasciato, da prima della sosta. Ridare voce alla brillantezza e all’entusiasmo di cui i tifosi si erano riempiti gli occhi. A maggior ragione per gli obiettivi che la Lazio si è posta: la strada per la Champions League non è lastricata di occasioni perse. 



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