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Calciomercato Lazio

I limiti di Lotito :” Se mi fanno fare lo stadio, la Lazio diventerà fortissima “

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LOTITO
Il presidente Claudio Lotito è stato ospite ieri pomeriggio della redazione del Corriere dello Sport, dove ha portato in visione la storica Coppa Italia conquistata nel derby vinto contro la Roma, concedersi ad un’intervista, ma anche per dar vitra ad un filo diretto con alcuni tifosi tramite lo strumento della videochat. Ecco le sue risposte!

Questa Coppa Italia è un punto d’arrivo del suo progetto o di partenza?
«E’ il coronamento di un percorso intrapreso da tanti anni e che ora prende corpo, un ulteriore punto di partenza per accrescere ancora la Lazio e assurgere a quel ruolo che le compete a livello nazionale e internazionale».

Lei ha spiegato che c’è stato durante un calo mentale. C’è una mancanza di qualità tra le alternative in alcuni ruoli?
«L’intendimento mio è di creare un gruppo di 22 titolari che si possano alternare tra loro, sullo stesso livello. Per arrivarci bisogna realizzarlo nel tempo, inserendo altri 2-3 elementi di grosso valore, anche di carattere morale, non solo tecnico. La mia esperienza, in una piazza come Roma, è che si deve valutare la capacità del giocatore non solo in termini tecnici, ma di tenuta piscofisica. La mentalità da grande squadra non si acquisisce dall’oggi al domani, ma attraverso spirito di gruppo, l’esperienza maturata in Europa ed è legata al carattere del singolo. Dobbiamo prendere giocatori che abbiano queste caratteristiche».

Quali sono stati i meriti essenziali di Petkovic?
«Petkovic si è integrato con facilità, facendo tesoro delle esperienze di coloro che hanno concorso a raggiungere il traguardo. L’obiettivo è stato raggiunto dalla famiglia Lazio. Petkovic ha trovato condizioni favorevoli per esprimersi al 100 per cento. Il derby è stata l’espressione di questo atteggiamento collettivo. La squadra ha ritrovato serenità. Il calcio è uno sport di gruppo e di squadra, anche quelli che stanno in panchina sono fondamentali. Questo tipo di approccio al sistema penso possa portare cambiamenti radicali. L’assioma più spendi più vinci non vige più. Gli individualismi danno risultati immediati, non duraturi».

Ma la Lazio può puntare allo scudetto?
«Se portiamo l’analisi alla mentalità storica del sistema calcio, ci sarebbe una sperequazione elevatissima tra noi e le altre. Le prime tre fatturano 230-260 milioni, noi 85. In teoria non ci dovrebbe essere possibilità. Io dico: attraverso un sistema diverso di calcio, dove prevalgono programmazione, merito, sacrificio, rispetto e mentalità, la Lazio può fare molto bene. Tra molto bene e massimo bisogna vedere sul campo cosa succede. Nove anni fa la Lazio aveva 84 milioni di ricavi e 86 di perdita d’esercizio, più 550 milioni di debiti. Poi guardiamo come è andata in questo campionato. Nei confronti diretti con la Juve, con il Milan, con l’Inter la Lazio ha giocato alla pari. Nel dare-avere, il bilancio è sempre stato a favore nostro. Eppure le potenzialità economiche della Lazio sono di un terzo inferiori rispetto a queste squadre. Se riusciremo a creare uno stadio di proprietà, con la mia filosofia, avremo un accrescimento sostanziale. In quelle condizioni potremmo dire la nostra in Italia e in Europa».

Il calcio può diventare un’attività produttiva?
«Già lo è. Se fossi partito da zero, come alcuni colleghi, avrei avuto possibilità diverse. Ho un fardello di cui mi devo far carico per altri 15 anni: 6 milioni l’anno al Fisco, la Lazio adempie con puntualità. Significa che gestisco una squadra di serie A ed è come se avessi anche un bilancio equivalente a un’altra società di serie B. Questo dimostra che le scelte precedenti alla mia gestione sono state avventate. Non erano in linea con la mia logica. Tutti i grandi club oggi adottano politiche diverse. Si sta introducendo il fair play finanziario. Si può spendere quello che si produce. Alcuni club importanti andranno verso il ridimensionamento».

Parla di fatturato. Il gap con le principali società d’Europa è ancora più pesante. Come può tornare competitivo il calcio italiano?
«Ci si può inserire attraverso una politica sui nuovi stadi. Avevamo il calcio migliore e stadi da terzo mondo. L’impianto non deve essere solo il campo di gioco. Non considero valori aggiunti gli stadi di Juve e Udinese. Il Real Madrid fattura 550 milioni, il Barcellona 480. La Juve a sua volta ha un fatturato di gran lunga inferiore a queste società. La volontà spesso sovrasta le individualità. Quello che succede nelle Olimpiadi è un esempio, ricordo Bikila che vinse contro l’opulenza americana. L’aspetto sportivo deve essere riscoperto. Un giocatore è anche una persona. Nella Lazio cerchiamo di valutare la componente fisica e mentale, lo spirito. Quando le persone sono appagate fanno esprimere il talento al 100 per cento. Tanti nomi non danno le prestazioni che uno si aspetta».

Chi l’ha sorpresa di più tra i giocatori della Lazio nella finale di Coppa Italia?
«Nella stagione tutta la squadra al completo ha dato segnali di coesione, ha espresso il concetto di esistere. In ogni partita c’è chi dà di più e chi di meno. Questa finale non era facile dal punto di vista psicologico. Ci giocavamo il trofeo, la prima volta nella storia attraverso un derby, il primato della città, l’ingresso in Europa. La Lazio è la prima squadra della Capitale. Questo è il dato emerso in modo inequivocabile nel confronto con la Roma, come era già successo in campionato. La squadra ha vinto con merito. Era una partita molto contratta, la Lazio ha dimostrato di sovrastare fisicamente e mentalmente l’avversario. Perché era compatta. La squadra è stata mandata in ritiro. Non era una scelta punitiva, ma solo per ritrovare serenità e spirito di gruppo, per cercare di rimuovere cause ostative che l’avevano frenata. Sabato, per mezza giornata prima del derby, i giocatori hanno ritrovato le proprie famiglie. Mia moglie era la prima volta che veniva a Formello. Vedere tutti questi giocatori con le loro mogli e i figli, mi ha dato un appagamento enorme. Sono riuscito a creare un gruppo vero con sentimenti veri. Sono tutti bravi ragazzi, fantastici dal punto di vista umano. Vedendo questa scena ho capito l’importanza di alcuni momenti fondamentali. E’ una condivisione di intenti. Foscolo parlava di corrispondenza di amorosi sensi. Sono certi fatti subliminali che poi ti portano a raggiungere i risultati. Un esempio? Lo spot fatto dalle famiglie mandato in onda prima che la squadra partisse con il pullman per l’Olimpico. Parecchi giocatori si sono commossi. Avere uno sprone, vinci per me, creare delle condizioni per cui avessero in mente l’espressione di un’intesa familiare e affettiva, ci ha dato qualcosa in più nel derby. I giocatori hanno espresso un ardore diverso, c’è stato in quelle ore un processo di cementificazione. Non è retorica, ma un aspetto reale, vero. Rappresentavano in quella partita tutto il mondo laziale. La Lazio è nata nel 1900 per rappresentare i suoi tifosi. Spero che la gente capisca gli sforzi compiuti dalla società».

Cos’è per Lotito la Roma?
«Mai fatto queste considerazioni, non lo dico per sviare la risposta. Mai pensato a cosa sia la Roma, ma solo a cosa deve essere la Lazio. Sono cattolico e senza essere blasfemo penso che i nostri colori rappresentino anche i valori del cielo. Sono i colori delle Olimpiadi. Questo per me è fondamentale».

Lotito vive la Lazio in prima persona. Può essere un problema per la Roma essere gestita da una proprietà che si trova dall’altra parte del mondo?
«Ognuno ha le proprie filosofie. Quando sono entrato nel 2004, se non avessi agito direttamente, la Lazio non si sarebbe mai salvata. Ho adottato il sistema dualistico per accorciare la catena di comando. Dicevano: Lotito fa tutto, il presidente, il direttore. E’ infondato. Ho un gruppo di persone che lavorano a mio stretto contatto, ma in una società ci deve essere una sola persona che comanda. Abbiamo fatto la rivista, una radio, una televisione, a detta di molti la migliore pay tv del calcio italiano. Mica la faccio io. C’è De Martino a organizzare. Ovviamente si confronta, così come gli altri collaboratori della società. Si è creata una simbiosi».

Se lei stesse a 8mila chilometri di distanza non sarebbe più complicato gestire?
«Se uno compra un bene che sta al di là dell’Oceano si deve avvalere di altre persone. Io ho la Salernitana, non la vivo quotidianamente, ma so cosa succede ogni giorno nello spogliatoio. Chiamo il ds alle 2 di notte. Non bisogna essere presenti solo fisicamente. Arrivo ed entro nello spogliatoio solo quando c’è bisogno. Mai detto a un tecnico chi deve giocare. La formazione la apprendo allo stadio».

Quando dice che certi giocatori sono fuori mercato, significa che rifiuterebbe anche una proposta indecente?
«Non è una forma apologetica. Quello che conta è la società. Dall’esperienza che ho maturato, se non c’è la società, puoi fare la raccolta delle figurine Panini, ma il risultato non lo raggiungi. Sono troppe le componenti. Una squadra è una piccola comunità. Avere un ambiente sereno appaga le persone e aiuta a raggiungere i risultati».

Il motivatore introdotto nello spogliatoio vi sta aiutando?
«Il mental coach è una cosa che ho inserito per aiutare i giocatori a ritrovare coscienza di se stessi. Ho una deformazione mentale, deriva dai miei studi. Torno sulla storia del ritiro. A Trieste avevo visto una squadra che era spenta. Non era solo un problema sportivo, era un problema volitivo. La presenza della società è scontata. E’ come un figlio, lo devi rimproverare quando serve. La squadra equivale a una macchina, è una dinamica in cui devi essere in grado di intervenire».

Nell’ultimo mese e mezzo, dopo Udine, Lotito è stato molto presente nello spogliatoio. Si aspettava che Petkovic trasmettesse più carattere alla Lazio oppure cosa è successo per stimolare il suo intervento?
«Questa domanda delinea una linea di demarcazione che non esiste. In una famiglia, non c’è solo la madre. Ogni tanto interviene il padre, quando vede che c’è bisogno di una scossa, di uno stimolo in più. Mi sono permesso di dare questo stimolo. L’ho fatto con questo scopo. Nessuno sta da solo e abbandonato, neppure l’allenatore. E ognuno si fa carico delle proprie responsabilità, si assume le scelte e le decisioni, ognuno deve essere rispettato. La squadra doveva ritrovarsi, non era un problema del mister. Era seconda in classifica, ai quarti di Europa League, s’è trovata fuori a Istanbul non per propri demeriti, è finita dietro in campionato perdendo punti con chi era più debole sulla carta. Ho ritenuto ci fosse bisogno di qualche intervento. In aggiunta, non in sostituzione».

Petkovic doveva intervenire con maggiore energia?
«Credo che il momento di calo sia legato alla capacità di esprimere le proprie potenzialità. La Lazio non ha mai avuto la mentalità da grande squadra. E’ sempre stata individuata come una squadra che non potesse raggiungere certi obiettivi. Si diceva l’allenatore chi è, ha perso le prime amichevoli, è stato discusso. Quando Petkovic si è espresso per come lo avevo capito, la squadra ha avuto un percorso di risultati positivi. Si è passati dalla fase negativa all’esaltazione. Poi il gruppo ha avuto un momento di stasi. Un conto è fare la Champions, un altro l’Europa League di giovedì: è assurdo. Non ti alleni, non ricrei le condizioni per recuperare, non prepari la partita successiva. Tutte le squadre che hanno fatto l’Europa League sono crollate. Non è un problema della rosa, se fosse così invece di 22 giocatori ne tieni 44 e risolvi tutto. Ma non è così. E’ un problema mentale. Ci sono squadre che rendono molto all’estero. L’unione fa la forza e la sintesi porta al risultato. Non puoi lasciare l’allenatore da solo. L’80 per cento dei nostri infortuni, che nessuno poteva ipotizzare, sono stati di natura traumatica. Klose, Mauri, Konko, poi le squalifiche. Contro la Juventus eravamo senza sette titolari e spesso tutti nello stesso reparto. Lotito deve comprare i giocatori si può dire al bar. Che faccio? Metto cinque titolari per ogni ruolo? Bisogna avere un po’ di fortuna».

Il calo è iniziato a febbraio. A parte la condizione fisica, la Lazio è stata penalizzata dalla coperta corta, dalla differenza tra i titolarissimi e certe alternative.
«Devo arrivare a 22 giocatori dello stesso livello. Nessuno ce l’ha in Italia. Non ci sono dieci Klose, ci vorrebbe un clone. Questa è una riduzione semplicistica della realtà. Se gli interpreti sono quelli, puoi fare il 4-1-4-1, ma se ti mancano certi giocatori e chi subentra non ha le stesse caratteristiche non è semplice, magari devi ritoccare il modulo. Nel caso della Lazio sono stati martoriati reparti interi nello stesso periodo dagli infortuni».

Nella Juve esce Marchisio ed entra Pogba… Nella Lazio servirebbe una via di mezzo. Dietro Dias e Biava non c’erano ricambi adeguati, Cana è stato adattato.
«Cana non si è adattato, fa il difensore centrale della nazionale albanese. Avevo un’offerta enorme per Ciani. Ogni giocatore ha il suo profilo tecnico. Ciani non è come Biava, sono difensori diversi. Dipende da come sei costretto a giocare. Alla lunga il francese si imporrà. Vedremo i risultati, i fatti mi daranno ragione. Dias non stava bene mentalmente. Posso prevenire gli infortuni muscolari, non il resto».

A gennaio non è intervenuto per rinforzare la Lazio. Se mette esterno destro un’alternativa a Konko che non ha mai giocato in Italia nell’immediato lo paga.
«Ci sono squadre che hanno chiesto Floccari e Kozak, ma li ho tenuti. Eppure li cercavano. Non è un problema di investimenti. L’Inter ha preso 10 giocatori e avete visto come è andata».

La Juventus ha tantissimi titolari.
«Non conta il numero dei giocatori, la Juve ha retto come tensione agonistica. In Europa League la Lazio ha avuto il miglior andamento di tutte. Se non ci fossero stati altri fattori, saremmo andati a giocarci la finale di Amsterdam. Con l’esperienza di quest’anno abbiamo fatto tesoro di altri aspetti: oltre a essere un buon giocatore devi avere la tenuta psicologica. Devi avere giocatori con mentalità da grande squadra. Onazi è da grande squadra. Ha giocato con personalità. La crescita passa attraverso qualità mentali, di testa».

Facciamo l’esempio di Ciani. Se avesse un’altra testa, darebbe un contributo migliore?
«Ciani si esprime in certi contesti, si deve adattare, nella prossima stagione andrà meglio, in modo diverso, ne sono sicuro. Abbiamo preso certi gol dovuti ai cali di concentrazione legati ad altri problemi. Parlate dei giocatori senza aspettarli. Lulic e Candreva all’inizio erano contestati, poi hanno espresso le proprie potenzialità. Bisogna dare tempo e fiducia. A volte ci sono problemi psicologici, è stato così per Lulic nei primi mesi della stagione, non riusciva a rendere. E su Pereirinha aspettate e scoprirete il suo valore».

Petkovic a un certo punto della stagione ha ammesso che la squadra era stressata dai troppi impegni e sarebbero serviti più giocatori. Diakitè non avrebbe fatto comodo anche a scadenza?
«La Lazio ha un’impostazione di un certo tipo, per questo è la Lazio. Altrimenti saremmo un’altra squadra. Rigore, rispetto, merito, moralità. Non ci sono figli e figliastri. Certi giocatori qui non approderebbero mai. L’accordo collettivo l’ho fatto io e ho sacrificato certe situazioni. Chi vuole stare alla Lazio deve avere requisiti. Non ci facciamo ammaliare dai nomi e dai cognomi».

Siete vicini al top, potete fare uno sforzo in più rispettando certi parametri. Questo chiedono i tifosi.
«Non vendiamo sogni ma solide realtà. La Lazio ha un bilancio di 84 milioni, può spendere per il bilancio che ha. Devi avere un equilibrio economico finanziario. Abbiamo già pagato gli stipendi di aprile, domani pago quelli di maggio, a differenza di altre 7 società che sono indietro sui pagamenti o che rischiano tecnicamente il fallimento. Io non voglio fare questa fine. Ho passato cinque anni di inferno per uscire da un certo tipo di situazione. Faccio le cose che posso fare».

Cosa manca?
«Lo vedrete, nel giro di pochi anni la Lazio diventerà fortissima. Se faccio lo stadio, non ce ne sarà più per nessuno. Lo metto per iscritto. C’è chi fattura 500 milioni di euro, ma che ci vuole a vincere? Dateli a me quei soldi. Io ragiono per persone, non per categorie. Ci sono dei procuratori che mi dicono: tutti i giocatori della Lazio vengono da lei e danno il 300 per cento, vanno da altre parti a giocare e si ammosciano. Io vorrei un equivalente di Messi dal punto di vista tecnico con la testa di Klose. Sarebbe il mio giocatore ideale. Abbiamo giocatori che sono una risorsa. Mi chiedete perché non gioca questo o quel giocatore? Perché non lo voglio dentro lo spogliatoio. Dovrebbe valere sempre lo stesso principio nel mondo della Lazio. I tifosi che si comportano male devono essere espulsi dalla tifoseria sana. Selezionare. Le piante storte vanno sradicate. Il valore aggiunto della Juve è la qualità agonistica che non c’entra con i numeri dell’organico. E con noi non hanno vinto. Non mi sembra che ci sia un divario da uno a tre come dice il fatturato».

Crescerà ancora come monte ingaggi la Lazio?
«L’abbiamo già fatto, quando sono arrivato esisteva il tetto dei 500mila euro di stipendio, oggi ci sono giocatori che guadagnano molto di più. Yilmaz non l’ho preso. Avevo offerto 2,7 milioni, gliene hanno dati 4. Io non li spendo 4 milioni per un giocatore, mi sfascia lo spogliatoio».

L’idea è riprovarci in Europa League. Come? Petkovic è un allenatore che si gioca ogni partita al massimo e non sceglie gli obiettivi.
«Ho delle idee, degli obiettivi, alcuni giocatori vanno via a scadenza, a gennaio non è stato apprezzato l’operato della società in uscita. Stavamo creando spazi per chi arriverà. Avevamo 8 attaccanti. Se hai Klose, Kozak, Floccari, Rozzi e giochi con una punta quanti te ne servono? Dice il mister che questa squadra ha dei ragazzi troppo perbene, a volte se non sei cattivo al momento giusto vieni sopraffatto. Non ti devi far pestare i piedi».

Perché avete tanti consulenti e specialisti di grande livello, ma non accresce lo staff medico interno alla società. E’ sufficiente così?
«Certe cose non si possono prevedere. Intanto abbiamo avuto un calo vertiginoso delle problematiche muscolari. Il medico interviene nella fase del danno. Tutto è perfezionabile e migliorabile. Ora stiamo facendo considerazioni su macchinari e su alcune figure. La società sta crescendo. Faremo dei cambiamenti in questo settore».

Da sei anni la Lazio non ha uno sponsor sulle maglie. La Coppa Italia vi aiuterà a trovare un partner?
«Questa è una mia lacuna».

E’ la prima volta che Lotito ammette una lacuna…
«Non ho forse la forza di avere uno sponsor che abbia i requisiti giusti per la Lazio. Non venderò mai una maglia a 2 milioni, non squalificherò mai la nostra immagine. Se uno prende 8 milioni e me ne offrono solo 2 perché dovrei accettare?».

Diciamo 3 milioni per 6 anni fanno 18…
«Ecco, vedete, ricominciate con i numeri. E non avete capito. Se ho un dirimpettaio (la Roma, ndr) che ne prende 8 e ha tanti altri indotti perché dovrei prenderne 2?».

Spesso avete parlato dell’Academy a Formello. Sono parole? E quando si realizzerà?
«Non ne abbiamo solo parlato. Abbiamo già fatto il progetto e quanto prima partiremo per portare tutto il settore giovanile a Formello. Per avviare i lavori servono altri 5-6 mesi, per la realizzazione penso un anno e mezzo. Si tratta di 5 campi di calcio aggiuntivi a quelli già esistenti e una foresteria diversa da quella utilizzata dalla prima squadra in cui andranno i ragazzi che vengono da fuori. Ho in testa anche un centro clinico. Questa società è nuova. Avevo 550 milioni di debiti in partenza, ora cominciamo a divertirci. E poi scusate. Ma gli altri cos’hanno più della Lazio?».

Cosa serve per sbloccare la situazione dello stadio?
«La Legge. Senza non fai niente. L’Udinese fa uno stadio dal costo di 25 milioni, ma non è un valore aggiunto. Lo Juventus Stadium porta 13 milioni di introiti alla società. E’ poco. Se vuoi fare una cosa, devi farla bene e devi dargli vita propria. Enrico Letta ha dichiarato che si devono costruire gli stadi in periferia. In città non si può, guardate cosa è stato l’Olimpico per il derby tra viabilità e sicurezza. Non serve una cattedrale nel deserto, devi avere un’attività continuativa di ricavo. L’impianto deve essere aperto h24, devi vivere sulla spesa quotidiana della persona. Il tifoso contribuisce alle sorti del club, è parte attiva. E azzera la violenza. Perché sente lo stadio come casa sua, lo rispetta. Dammi una leva e ti solleverò il mondo. Uno stadio così ti porta 70-80-90 milioni di ricavi più quelli che hai. Ma in Italia c’è il famoso potere di veto. Non voglio fare speculazioni. Dite che sulla Tiberina ci sono i vincoli idrogeologici. Faccio l’esempio di Monterotondo: 38mila abitanti, gli stessi vincoli, mi sembra che non ci siano mai state alluvioni o che sia crollato».

Perché Campagnaro ha giocato sino all’ultima partita con il Napoli e Montolivo alla Fiorentina mentre alla Lazio non succede?
«Perché mi chiamo Claudio Lotito e a casa mia decido che linea dare. Ci sono famiglie in cui i figli tornano alle 3 di mattina… Nella mia famiglia le direttive sono chiare e valgono per tutti… E Diakitè ne ha fatti tanti di danni l’anno scorso… La Lazio ha vinto la Coppa Italia, la Salernitana ha vinto due campionati, Primavera e Allievi sono alle finali».

A volte perde giocatori per 100-200 mila euro…
«Diakitè è stato preso da me dal Pescara, portato in Primavera, non veniva considerato molto bene. Aveva una ferrea volontà, un fisico eccezionale, s’è rotto la gamba, gli ho rinnovato il contratto, qualcuno mi diceva che aveva i piedi fucilati. Si allenava da solo, è cresciuto. Benissimo. Gli ho detto: rinnoviamo? Domani, domani, rispondeva sempre così. Arriva l’agente e comincia a giocare… Alla fine il contratto non lo fa. Lo chiamo e mi dice. “Lei non deve parlare con me ma con il mio procuratore”. E mi chiede 1,3 milioni di stipendio. Biava prende meno della metà. Che faccio? Sfascio lo spogliatoio? No, gli dico arrivederci e auguri. Cavanda? Ha preso lo stesso procuratore di Diakitè, chiedete a Manzini, a Formello mi sfasciava i televisori al plasma con le palle da biliardo, e mi dice non firmo. Gli ho proposto: “Firmi e poi ci rivediamo a luglio per ridiscutere tutto”. Ha detto no. La squadra l’ha chiamato. Lo hanno scaricato tutti. Al Foro Italico, qualche giorno fa Diakitè e Cavanda bevevano e ballavano. Ci sono le regole. Guardate le macchine dei giocatori della Lazio e guardate le macchine degli altri giocatori. Vi accorgerete della differenza».

Zarate è stato il giocatore piu’ costoso e deludente?
«Nella vita ho imparato una cosa. I giocatori dipendono molto dai procuratori. Li possono esaltare o distruggere. Biava è una persona perbene e ha un procuratore perbene. Se non ci sono le regole ognuno fa quello che gli pare».

 

Fonte: Il Corriere dello Sport

Cittaceleste.it



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