Il calcio italiano perde uno dei suoi maestri più autentici e visionari.
Giovanni Galeone, l’allenatore del “bel gioco”, ci ha lasciato all’età di 83 anni.
Un personaggio unico, capace di anticipare idee e schemi che solo anni dopo sarebbero diventati tendenza, come il suo amato 4-3-3 offensivo, antesignano del calcio di Zeman e, in parte, dello stesso Maurizio Sarri.
⚽ Il giorno che lo rese immortale: Roma-Pescara 1-3
Chi ama il calcio vero non può non ricordare quella partita: Roma-Pescara del febbraio 1989.
All’Olimpico, contro la Roma di Nils Liedholm, il Pescara di Galeone — squadra che lottava per la salvezza — vinse 3-1 grazie a una clamorosa tripletta del brasiliano Tita.
Una vittoria storica, la più bella del suo Pescara e, forse, il vertice della sua carriera.
Paradossalmente, dopo quell’impresa, il Pescara non vinse più e a fine stagione retrocesse.
Ma quel giorno entrò nella leggenda. Non per i punti, ma per la filosofia: attaccare sempre, anche contro i più forti.
🧠 Un precursore del calcio moderno
Galeone non vinse trofei, ma lasciò un’eredità tecnica profonda.
Fu uno dei primi in Italia a schierare il 4-3-3 “puro”, basato su possesso palla, ampiezza e attacco sugli esterni.
Un calcio che voleva divertire prima di tutto, senza speculare, senza paura.
Le sue squadre — Pescara, Udinese, Perugia, Ancona, e brevemente il Napoli — erano note per il coraggio e la personalità.
Non sempre arrivavano i risultati, ma arrivavano emozioni, e questo per Galeone contava di più.
🗣️ “Meglio vincere 4-3 che 1-0”
Galeone non aveva peli sulla lingua.
Amava dire quello che pensava e non si piegava alle convenzioni.
“Meglio vincere 4-3 che 1-0”, ripeteva spesso, sintetizzando un’idea di calcio che oggi sembra scomparsa.
Per questo molti lo considerano un maestro dimenticato, ma ancora fonte d’ispirazione per chi ama il calcio offensivo e propositivo.
💬 Il rimpianto della grande occasione
Dopo il trionfo all’Olimpico, Galeone sembrava destinato a una grande panchina.
Si parlò addirittura della Roma, che valutò di affidargli la squadra dopo l’esonero di Liedholm.
Ma la retrocessione con il Pescara fece saltare tutto.
L’unica vera opportunità “da big” arrivò nel 1997, quando allenò il Napoli, ma durò appena tre mesi: la squadra retrocesse e il tecnico lasciò.
Un calcio che non premiò il suo coraggio, forse perché troppo avanti rispetto ai tempi.
🎭 Un personaggio fuori dagli schemi
Galeone era anche questo: carisma, ironia, verità.
Un uomo che parlava chiaro, che amava il calcio come arte e non come calcolo.
Proprio per questo tanti allenatori moderni — da Zdenek Zeman a Maurizio Sarri — hanno sempre riconosciuto in lui una fonte di ispirazione.
Oggi, nel calcio italiano dominato da pragmatismo e difensivismo, il suo ricordo è ancora più prezioso.
Quando in Serie A il “bello” sembra un lusso, l’addio a Galeone ci ricorda che un tempo il calcio italiano era il più spettacolare del mondo, proprio grazie a tecnici che avevano il coraggio di osare.
“Il calcio deve emozionare, non solo far punti”, diceva spesso.
Una frase che oggi suona come un testamento sportivo.
🔵 L’eredità di un romantico del pallone
Galeone lascia un segno profondo, non nei trofei ma nei cuori di chi ama il calcio vero.
Ha ispirato generazioni di allenatori, ha portato bellezza dove c’era solo paura di perdere.
E forse è per questo che la sua scomparsa pesa ancora di più: se ne va un’idea di calcio che oggi non esiste più.
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