
Ci sono storie che restano impresse nel cuore dei tifosi più di tante vittorie. Quella di Stefano Mauri, ex capitano della Lazio, è una di queste: un racconto di orgoglio, dolore e rinascita.
In un’intervista al Gazzetta dello Sport, Mauri è tornato a parlare del caso calcioscommesse che nel 2012 lo travolse, segnando per sempre la sua carriera e la sua vita.
“Finii in galera all’improvviso, da innocente. Ero il nome da dare in pasto alla gente”, ricorda Mauri. “Lì ti senti svuotato, ma dopo non hai paura più di niente. Ho preso sei mesi per omessa denuncia, ma ancora oggi non ho capito tutto”.
Dal carcere alla Coppa Italia: la rinascita del capitano
Arrestato il 28 maggio 2012, accusato di associazione a delinquere e frode sportiva, l’ex numero 6 biancoceleste trascorse sette giorni in carcere, prima di essere ascoltato dal giudice. “È stato il momento più brutto della mia vita, qualcosa che non auguro a nessuno”, spiega.
Ma proprio da quella esperienza, durissima, Mauri trasse una lezione che gli avrebbe permesso di rialzarsi: “La galera ti fortifica. Dopo non ti fa più paura niente.”
Pochi mesi dopo, arrivò il riscatto. Nella finale di Coppa Italia 2013, decisa dal gol di Lulic contro la Roma, Mauri era lì, a guidare la squadra verso la vittoria più amata dai tifosi: “È stato un trofeo magico. Rimasi male a non partire titolare, ma quella gioia non si dimentica”.
L’amore per la Lazio e il rispetto dei tifosi
Mauri non dimentica il sostegno ricevuto nei momenti più bui: “La Lazio e i suoi tifosi non mi hanno mai lasciato solo. In quella vicenda ho capito chi mi voleva davvero bene.”
Essere capitano, spiega, è stato “un onore e una responsabilità enorme. Mi porto dietro quell’orgoglio ancora oggi, quando qualcuno mi ferma per strada.”
Il legame con il club biancoceleste è rimasto intatto: “Lotito la prima volta mi disse: ‘Oh, qui c’è da pedalare’. Quando andavo da lui per trattare i premi di squadra, ti sfiniva. Ma sapevi che lo faceva per il bene del gruppo.”
Una carriera tra gol, sacrifici e rimpianti
Nel corso della sua carriera, Mauri ha segnato pagine importanti della storia laziale: dalla rovesciata al Napoli nel 2012, ai gol nei derby contro la Roma, fino alla Supercoppa Italiana vinta nel 2009 contro l’Inter del Triplete.
“Con Pioli mi sono divertito tanto — racconta — ma anche Reja e Ballardini mi hanno lasciato qualcosa. Klose? Un campione vero, d’esempio per tutti. Dopo l’allenamento raccoglieva i palloni da solo. E poi Baggio, a Brescia: un genio, un uomo speciale.”
Nonostante tutto, Mauri conserva qualche rimpianto: “Non aver giocato un Europeo o un Mondiale. L’avrei meritato. Ma nei momenti decisivi sono arrivati gli infortuni.”
Dal campo alla nuova vita da agente
Oggi, lontano dal campo, Mauri studia per diventare agente sportivo insieme a Lodovico Spinosi. “Dopo tutto quello che ho vissuto, non ho paura di niente. Quell’esperienza mi ha insegnato a capire le persone, a distinguere chi c’è davvero.”
Un simbolo di resilienza e appartenenza, che i tifosi della Lazio non hanno mai dimenticato. Perché, al di là delle accuse, dei titoli di giornale e dei tribunali, Stefano Mauri è rimasto uno di loro: il capitano di quella “coppa in faccia”, la vittoria più dolce della storia biancoceleste.
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