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Lazio, spogliatoio in crisi: il vero rischio non è la retrocessione

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Giocatori della Lazio delusi in campo: il vero problema biancoceleste è lo spogliatoio diviso.

I timori di alcuni tifosi biancocelesti parlano chiaro: “Così si rischia la Serie B”. La classifica non sorride e le prestazioni della Lazio non convincono. Ma secondo diversi osservatori e analisti, il problema principale non è la qualità della rosa – giudicata mediocre ma non da retrocessione – quanto lo stato di salute dello spogliatoio.

Una rosa non da Champions, ma neanche da Serie B

La Lazio 2024/25 è una squadra che, sulla carta, non sembra attrezzata per la Champions League e probabilmente nemmeno per l’Europa League. Tuttavia, allo stesso tempo, non ha le caratteristiche di una squadra destinata a lottare per la salvezza. In un campionato sempre più livellato, con un Napoli più forte ma non dominante come un Manchester City e con le “piccole” più competitive, la Lazio dovrebbe posizionarsi in zona medio-bassa ma senza drammi.

Il vero nodo, però, è un altro.

Lo spogliatoio in ebollizione

La situazione interna appare delicata. Nuno Tavares, Matías Vecino, Mario Gila, Mattia Zaccagni e soprattutto Matteo Guendouzi sono soltanto alcuni dei nomi finiti sotto i riflettori per atteggiamenti discutibili, cali di rendimento o malumori.

Guendouzi, arrivato in un contesto di Champions League con Maurizio Sarri in panchina, oggi si trova in una squadra fuori dall’Europa e lontana dagli obiettivi ambiziosi. Ha perso anche la Nazionale francese e il suo malcontento è palpabile. Discorso simile per Nuno Tavares, apparso distratto e con la testa altrove, e per Zaccagni, che – nonostante parole d’amore per la maglia – non avrebbe disdegnato un passaggio al Napoli.

A tutto questo si aggiungono le voci di un Mario Gila scontento per lo scarso ingaggio e il mancato rinnovo, con club italiani e inglesi interessati a lui.

L’assenza della società

Il vero macigno, secondo molti, è l’assenza di una figura di riferimento nella società. Dopo l’uscita di scena di figure come Angelo Peruzzi, manca un dirigente capace di gestire le tensioni quotidiane e fare da tramite tra squadra e presidenza.

Igli Tare in passato svolgeva un ruolo simile, ma oggi Fabiani non appare incisivo. Lotito, accentratore per natura, si limita a decisioni strategiche e raramente interviene nello spogliatoio. Il risultato è una rosa “in autogestione”, priva di guida fuori dal campo.

Un aspetto che pesa enormemente: gli esempi di Marotta all’Inter o di Giuntoli al Napoli dimostrano come la forza di una società solida possa incidere direttamente sui successi sportivi.

Sarri, un grande allenatore ma non un gestore

Maurizio Sarri non ha mai nascosto il suo limite: non è un “gestore di uomini”, ma un allenatore tattico e metodico. Il tecnico chiede disciplina, applicazione e impegno sul campo, ma lascia in secondo piano gli equilibri interni e le dinamiche extra-campo.

In un contesto di tensione, questa caratteristica diventa un problema. Una squadra con giocatori scontenti e senza una guida societaria rischia di non rendere, indipendentemente dal valore tecnico.

Il vero pericolo

Il rischio non è la retrocessione diretta, ma l’implosione di uno spogliatoio spaccato. Giocatori che pensano già al mercato di gennaio, prestazioni al di sotto del livello e una società assente possono generare un effetto domino devastante.

La Lazio ha bisogno di una figura di raccordo, capace di motivare, mediare e dare obiettivi chiari al gruppo. Senza, il rischio di un campionato anonimo e complicato cresce.



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