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Lotito e i tifosi: perché la contestazione è un diritto

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Lotito attacca i tifosi, ma la contestazione è un diritto: la Lazio deve ambire all’alto, non abituare alla mediocrità.

e parole di Claudio Lotito pronunciate anche durante la festa di Natale della Lazio confermano un problema che va ben oltre il momento sportivo: il rapporto completamente distorto tra la società e il tifoso. Ancora una volta, il presidente biancoceleste ha dimostrato di avere un’idea del tifoso della Lazio che non solo è sbagliata, ma è profondamente offensiva.

Secondo questa visione, il tifoso dovrebbe limitarsi ad applaudire sempre, dire grazie a prescindere, comprare biglietti, abbonamenti e merchandising, senza mai esprimere dissenso. In sostanza, un tifoso ridotto a cliente silenzioso. Ma il tifoso non è un suddito, non è uno schiavo della società e soprattutto non è un idiota.

Il tifoso paga. Paga il biglietto, l’abbonamento, le trasferte, la pay-tv. E in cambio non compra solo uno spettacolo, ma esercita un diritto: quello di tifare. E tifare significa applaudire quando le cose vanno bene e contestare quando le cose vanno male. È così in ogni stadio del mondo, in ogni sport, in ogni campionato.

Se a fine partita sono felice, applaudo.
Se sono deluso, arrabbiato, amareggiato, fischio.
È normale. È sano. È legittimo.

Pretendere che il tifoso applauda una squadra ottava, fuori dall’Europa per il secondo anno consecutivo, reduce da un’estate senza mercato e con ambizioni ridotte al minimo, significa vivere fuori dalla realtà. La Lazio non è il Sassuolo, non è l’Udinese, non è una provinciale che può accontentarsi della salvezza tranquilla.

La Lazio è una società storica.
È la prima squadra della Capitale, come lo stesso Lotito ama ricordare.
E proprio per questo ha il dovere di ambire ogni anno alle prime posizioni.

Non si chiede di vincere lo scudetto ogni stagione.
Non si pretende la qualificazione Champions automatica.
Ma lottare per la Champions, quello sì. Sempre.

Da quando Lotito è presidente, la Lazio ha centrato la Champions League solo tre volte. Negli ultimi tre anni il bilancio sportivo è impietoso:
– settimo posto e fuori dall’Europa
– mercato bloccato
– squadra mai realmente in zona europea

E il tifoso dovrebbe dire grazie?

Basta guardarsi intorno.
A Milano il tifoso del Milan ha contestato duramente la società: curva vuota, striscioni, proteste. Nessun dirigente ha mai detto che i tifosi fossero stupidi. Anzi, hanno parlato di riconquistare la fiducia.
A Firenze il tifoso viola è furioso perché la squadra è ultima, nonostante le promesse europee.
A Torino, a Napoli, a Manchester: ovunque si contesta quando le cose vanno male.

Solo a Roma, sponda Lazio, la contestazione viene dipinta come un complotto, come un atto di stupidità o di manipolazione. Lotito parla di tifosi “guidati” da comunicazioni contro la Lazio. Ma la realtà è molto più semplice e molto più dura: la Lazio non sta rispettando le aspettative.

Il tifoso non contesta per sport.
Contesta perché vede una squadra che ha perso ambizione.
Perché siamo passati da Milinković-Savić, Luis Alberto e Immobile a una rosa nettamente ridimensionata.
Perché si chiede di accontentarsi dell’ottavo posto e magari pure di applaudire.

Il problema più grave è proprio questo: la normalizzazione della mediocrità.
Abituare il tifoso a pensare che settimo, ottavo o nono posto siano risultati accettabili.
Abituarlo a sognare la Conference League come traguardo.
Abituarlo a non sognare più.

Il tifoso della Lazio vuole vincere.
Vuole competere.
Vuole sognare.

E se oggi contesta, lo fa per amore, non per distruggere.
Se questo concetto non viene compreso, allora il problema non è il tifoso.



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