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Lazio il freno a mano tirato fuori dal campo: sponsor, marketing e struttura societaria al centro del dibattito

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ROMA — Non solo campo e risultati. La discussione che attraversa il mondo biancoceleste in questi giorni guarda anche (e soprattutto) alla Lazio come azienda: organizzazione interna, politiche commerciali, strategie di marketing, gestione biglietteria e presenza internazionale. Temi riemersi con forza durante una diretta del lunedì sera con Luca Ciampi e Federico Farcomeni, nella quale sono emerse criticità note ma ancora irrisolte: dalla mancanza di uno sponsor di maglia stabile all’assenza di una “media house” strutturata, fino alle difficoltà nel trasformare i picchi di visibilità in ricavi e crescita del brand.

Sponsor di maglia, occasione mancata

La fine del rapporto con il precedente main partner ha lasciato la Lazio senza sponsor in un momento di massima esposizione: Champions League, riflettori internazionali e perfino episodi virali (come il gol di Provedel in Europa, citato come case-study di visibilità globale). «Una vetrina così importante non può trovarci impreparati», il succo degli interventi in diretta. Il punto non è soltanto estetico: lo sponsor di maglia è leva di ricavo e di branding. In un’era in cui i club capitalizzano ogni contenuto e micro-momento, presentarsi “in bianco” è percepito come un’occasione persa.

Struttura corta: quando l’organico limita l’ambizione

Dal confronto è emersa una diagnosi chiara: l’organigramma è troppo snello per un club che ambisce a stare stabilmente in Europa. Poche persone a presidiare aree cruciali – commerciale, marketing, ticketing, comunicazione, partnership internazionali – significano tempi lunghi, reattività ridotta e ritardi operativi. Dalla predisposizione delle campagne abbonamenti (anche per la Champions) alla negoziazione con gli sponsor, fino alla cura del sito e delle lingue: il rischio è di viaggiare a velocità ridotta in un contesto dove gli altri club corrono.

L’osservazione più frequente: “Senza una parola del presidente non si muove nulla”. In un sistema così centralizzato, ogni processo rallenta e l’execution si fa complicata.

Branding e mercati esteri: Giappone caso-scuola

Tra gli esempi portati, il Giappone: l’arrivo di Kamada e il kit tecnico Mizuno rappresentavano l’innesco perfetto per attivare una strategia mirata (contenuti in lingua sul sito, tour pre-season, campagne co-branded, retail dedicato). Invece, secondo le testimonianze raccolte, mancano perfino asset minimi in inglese/giapponese sul portale ufficiale e in alcuni Paesi è difficile acquistare materiale della Lazio. Un cortocircuito commerciale: il brand c’è, l’accesso no.

Qui il confronto con i club più strutturati è impietoso: presidio dei canali locali, partnership media, programmi membership global, attivazioni con i distributori del tecnico-sponsor. Tutto ciò, per la Lazio, resta una frontiera ancora da esplorare sistematicamente.

Dallo Stadio Flaminio alla “media house”: visione e strumenti

Il capitolo Stadio Flaminio tocca corde identitarie e strategiche. L’assenza di un’infrastruttura di proprietà limita i ricavi “matchday” e la possibilità di disegnare una fan experience proprietaria. Ma anche senza uno stadio nuovo, oggi i club spingono su contenuti, data strategy e contenitori digitali: la famosa “media house”. In casa Lazio, dicono gli ospiti, la squadra che produce e monetizza contenuti sarebbe troppo piccola per reggere la domanda dell’ecosistema (TikTok, OTT, app, membership, premium). In termini sportivi: mancano i cambi proprio dove servirebbe accelerare.

Prezzi, pacchetti e biglietteria: il fattore “stadio pieno”

La discussione scivola poi sul pricing: curve a 45–50 € per gare europee, mini-pacchetti tardivi o non modulati, obblighi e tessere che complicano l’accesso ai tifosi stranieri. Il messaggio è chiaro: lo stadio pieno genera valore sportivo (spinta della casa) e valore futuro (domani uno stadio di proprietà ha bisogno di una base fidelizzata). Serve una gestione più flessibile: bundle dinamici, early bird, agevolazioni per i tifosi “seriali”, canali d’acquisto snelli in più lingue, customer care dedicato.

“Il 70–75% dei ricavi arriva da diritti TV, ma lo stadio pieno crea abitudine, appartenenza e dati: capitale per i partner e per il giorno in cui avrai uno stadio tuo”.

Partnership e network: aprire porte, non chiuderle

Altro passaggio: l’importanza di coltivare relazioni oltre il trasferimento di un singolo calciatore. La vendita di un big a un club medio-orientale, ad esempio, potrebbe diventare il primo mattone per partnership istituzionali, progetti di academy, eventi e hospitality business. Lo stesso vale per i mercati asiatici: tour mirati, coinvolgimento del testimonial (Kamada), clinic con la Primavera, hub digitali locali. Sono investimenti che richiedono struttura e tempo, ma generano ritorni (economici e reputazionali).

Comunicazione: ringraziare la curva, guidare la community

C’è poi la dimensione simbolica, ma non per questo meno concreta: riconoscere il valore della Curva dopo una coreografia importante, comunicare con continuità scelte e obiettivi, valorizzare i momenti condivisi. È una leva di reputazione che pesa anche sul business: engagement più alto, community più attiva, sponsor più interessati.

Cosa può fare la Lazio (subito e nel medio periodo)

  • Allargare l’organigramma nelle aree chiave (commerciale, marketing, digital, ticketing): più teste, più velocità.
  • Sponsor di maglia: task force, target internazionale, pacchetti modulari (Champions-only, half-season, sleeve sponsor).
  • Internazionalizzazione: sito multilingua (almeno EN/JP), e-commerce globale, accordi retail con Mizuno nei mercati chiave, content locali.
  • Ticketing dinamico: pacchetti 2–3 gare, pricing family/studenti, funnel in lingua per tifosi esteri, customer care dedicato.
  • Media & dati: team contenuti, membership premium, CRM per conoscere e valorizzare i tifosi; più contenuti proprietari = più sponsorability.
  • Roadmap Flaminio: narrazione chiara su tempi e step; nel frattempo, potenziare l’esperienza Olimpico (fan zone, hospitality, servizi).

Conclusione: l’altra metà della classifica

La Lazio resta un marchio potente, con storia, tifoseria e attrattività europea. Ma il calcio del 2025 è competizione anche fuori dal campo: chi corre in marketing, struttura e contenuti guadagna metri quando la palla non rotola. Il messaggio emerso dal confronto è netto: serve coraggio gestionale. Un piccolo indebitamento “fruttifero”, come dicono i manager, per investire dove il ritorno è misurabile: persone, processi, piattaforme, mercati.

Perché lo scudetto dell’organizzazione si decide da lunedì a venerdì. E spesso vale quanto i tre punti della domenica.



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