La misura è colma. Lo è per i tifosi, esausti di vedere le partite decise da fischietti e monitor invece che dal campo. Lo è per la squadra, che vede i propri sforzi vanificati da decisioni “difficili da comprendere”, per usare un eufemismo. Ma la misura dovrebbe essere colma, soprattutto, per la Società Sportiva Lazio. Che invece, di fronte all’ennesimo scandalo stagionale andato in scena a Udine, sceglie ancora una volta la strada più discutibile: quella del mutismo.
La schizofrenia strategica: da “pompieri” a vittime silenziose
C’è qualcosa che non torna nella strategia comunicativa del club. Serve riavvolgere il nastro. Ricordate i tempi non lontani (era un Milan-Lazio) in cui Maurizio Sarri tuonava contro arbitraggi killer, e la sensazione netta era che la società, invece di fare scudo al suo tecnico, preferisse gettare acqua sul fuoco? Ci furono momenti in cui sembrava quasi che il club volesse “difendere” l’operato dei direttori di gara dalle intemperanze del Comandante, in nome di un presunto stile istituzionale.
Poi, il vento è cambiato. Gli errori si sono accumulati, diventando una marea impossibile da ignorare. E qual è stata la reazione? Passare dall’estremo del “profilo basso” all’estremo del “silenzio stampa”. Due volte nelle ultime settimane la Lazio ha deciso di spegnere i microfoni. Una scelta che, francamente, appare più come una resa che come una protesta efficace.
A cosa serve il silenzio stampa oggi?
Nell’era della comunicazione globale, sottrarsi al confronto televisivo è un autogol. Il silenzio stampa non punisce gli arbitri, non spaventa il Palazzo. Punisce solo i tifosi che vorrebbero sentire la propria dirigenza difendere i colori, e lascia campo libero alle narrazioni altrui negli studi televisivi.
Protestare col silenzio è un ossimoro. Quando subisci un torto come quello del gol di mano di Davis a Udine, la dirigenza – che siano il Presidente Lotito o il DS Fabiani – ha il dovere di presentarsi davanti alle telecamere. Non per fare sceneggiate, ma per chiedere conto, con fermezza e autorità, di ciò che sta accadendo. Metterci la faccia, battere i pugni sul tavolo metaforico della Serie A. Invece, si preferiscono “comunicatini insulsi”, note ufficiali fredde che lasciano il tempo che trovano e che sanno di impotenza.
Il “meme” della disperazione
E arriviamo all’ultimo atto di questa commedia degli errori comunicativi. Dopo lo scippo della Dacia Arena, mentre il popolo laziale ribolliva di rabbia, la risposta “forte” della società è stata… un video sui social. Una sorta di compilation “meme” dei torti subiti.
Siamo seri? È questa la risposta istituzionale di un club glorioso come la Lazio? Affidare la propria indignazione a un montaggio video che sembra uscito da una fanpage goliardica? È un atteggiamento che banalizza la gravità della situazione. Il “rumore social” non sostituisce l’azione politica e dirigenziale.
La Lazio sta subendo danni tecnici ed economici enormi. È ora di smetterla di nascondersi dietro i comunicati o i video ironici. Serve una strategia chiara, serve una voce potente che si faccia sentire nei luoghi preposti, in TV e in Lega. Perché questo silenzio assordante non sta portando rispetto; sta portando solo altri torti.
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