L’espulsione di Mario Gila durante Lazio–Bologna è destinata a far discutere a lungo.
Non tanto per il fallo – giudicato da molti ingenuo ma non violento – quanto per ciò che è accaduto subito dopo: il difensore spagnolo riceve il cartellino giallo, protesta, dice all’arbitro che è “scarso”, e il direttore di gara reagisce tirando fuori il rosso diretto, trasformando un’ammonizione in una sanzione pesantissima.
Un episodio che ha immediatamente scatenato polemiche.
Perché?
Perché, come troppo spesso accade nel nostro campionato, non sembra esserci uniformità di giudizio. E quando le decisioni cambiano da partita a partita, da arbitro ad arbitro… allora la credibilità del sistema vacilla.
🔵 Il caso Gila: un rosso “di pelle” più che di regolamento?
Rivedendo l’episodio, il fallo di Gila è da giallo: intervento in ritardo, fallo tattico, nulla di più.
La vera scintilla arriva dopo: una protesta mal calibrata, uno sfogo di frustrazione, certamente evitabile.
Ma nel calcio, specialmente in Serie A, frasi peggiori di “sei scarso” si sentono praticamente ogni domenica.
L’arbitro Fabbri però la prende sul personale, percepisce un’offesa diretta, e sceglie la linea più dura: espulsione immediata.
Decisione severa, forse troppo severa, che incide sulla partita e sulla gestione emotiva del match.
🔴 Il paragone che fa esplodere la polemica: Mancini in Cagliari–Roma
Ed è qui che nasce il problema.
Perché poche ore prima, in Cagliari–Roma, si era verificato un episodio praticamente identico… con una conclusione totalmente opposta.
Dopo l’espulsione di Celik – fallo da ultimo uomo su Folorunsho, rosso giusto – Gianluca Mancini si avvicina all’arbitro Zufferli e gli urla:
➡️ “Ma che c**o fai? Stai rovinando la partita!”*
Parole decisamente più pesanti, più gravi e più dirette rispetto al “sei scarso” pronunciato da Gila.
Eppure, in quel caso…
👉 nessun cartellino,
👉 nessun richiamo formale,
👉 tutto lasciato correre.
Come se nulla fosse accaduto.
⚖️ Due episodi, due arbitri, due pesi e due misure
Questo è il nodo della questione.
Non è solo Gila.
Non è solo Mancini.
È un discorso molto più ampio e molto più serio:
perché in Serie A lo stesso comportamento viene punito in modo diverso a seconda dell’arbitro?
- In Lazio–Bologna il rispetto dell’arbitro diventa dogma assoluto → Rosso diretto.
- In Cagliari–Roma lo stesso principio svanisce → Si lascia correre.
Il regolamento non cambia da stadio a stadio.
Ma la sua interpretazione sì.
E quando l’arbitraggio diventa una questione “personale”, allora l’equità viene meno.
🟣 Lazio: ennesimo caso in una lunga lista?
Per i tifosi della Lazio, questo episodio non arriva isolato.
Nelle ultime stagioni, le polemiche arbitrali che hanno coinvolto la squadra biancoceleste sono state numerose: gol annullati dubbi, rigori non assegnati, sanzioni incoerenti.
L’espulsione di Gila è solo l’ultimo tassello di un mosaico che alimenta una sensazione diffusa:
👉 la Lazio non riceve lo stesso metro di giudizio di altre squadre.
E il confronto con Mancini, così evidente e così recente, rende tutto ancora più difficile da accettare.
🟦 Conclusione: serve uniformità, non interpretazioni personali
Il calcio può accettare l’errore umano.
Quello che non può accettare è la mancanza di coerenza.
O gli arbitri decidono che certe proteste meritano il rosso SEMPRE,
oppure decidono che meritano il richiamo e niente di più.
Ma non può esistere un campionato in cui Gila viene espulso e Mancini no,
dove una frase banale diventa oltraggio e una frase pesantissima viene ignorata.
Perché così il problema non diventa solo tecnico.
Diventa culturale.
E mina la credibilità dell’intero sistema arbitrale.
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