ROMA – Se Claudio Lotito ha avuto il merito indiscusso di salvare la Lazio dal fallimento e di riportarla stabilmente in zona Europa, c’è un settore che, durante la sua gestione, è rimasto il grande problema del settore giovanile:.
Il dato che preoccupa è lampante: sono passati dieci anni dall’ultimo scudetto Primavera, vinto nel 2013 dalla Lazio allenata da Alberto Bollini, tecnico che di recente ha trionfato con l’Italia Under 19. Un digiuno lungo, ma non è la mancanza di trofei il vero problema.
Il vero obiettivo del vivaio
Il compito principale di un settore giovanile non è vincere campionati, bensì formare calciatori pronti per la prima squadra o da valorizzare sul mercato. In questo la Lazio è rimasta indietro: dall’era Lotito a oggi, i biancocelesti hanno prodotto pochissimi giocatori capaci di imporsi in Serie A.
L’unico vero esempio è Danilo Cataldi, cresciuto a Formello e oggi unico rappresentante del vivaio in prima squadra. Troppo poco per una società che fatica a competere sul mercato per i grandi nomi e che potrebbe trovare nei giovani una risorsa fondamentale per contenere i costi e rinforzare la rosa.
Il confronto con il passato e con le big
Negli anni di Sergio Cragnotti, il settore giovanile era spesso criticato per le poche opportunità offerte ai ragazzi, oscurati da campioni del calibro di Salas, Mancini e Verón. Eppure, da quel vivaio uscì un fuoriclasse come Alessandro Nesta e diversi talenti in grado di costruirsi una carriera importante.
Con Lotito, invece, i numeri parlano chiaro: pochi sbocchi e pochi prodotti del vivaio in Serie A. Il problema non è solo tecnico, ma soprattutto gestionale ed economico. Secondo l’ex tecnico della Primavera Alberto Bollini, la Lazio investe meno di 2 milioni di euro all’anno nel vivaio, a fronte dei circa 10 milioni di club come Roma e Inter. Un divario che inevitabilmente si riflette sulla qualità dello scouting e sulla capacità di attrarre i migliori talenti della regione.
Le conseguenze degli investimenti ridotti
Meno investimenti significa meno risorse per lo scouting, meno possibilità di strappare i giovani più promettenti ai club rivali. Non è un caso che molti dei migliori prospetti laziali finiscano nelle giovanili di Roma, Inter o Juventus.
Inoltre, la Primavera biancoceleste ha vissuto negli ultimi anni un autentico calvario: due retrocessioni in Serie B e solo di recente il ritorno nella massima categoria giovanile. Un segnale chiaro di una struttura fragile, incapace di garantire continuità e risultati.
Stranieri, scommesse e occasioni sprecate
Un altro limite della gestione è stata la scelta di puntare su giovani stranieri di dubbio valore, spesso preferiti ai ragazzi cresciuti in casa. Alcuni acquisti si sono rivelati autentiche meteore: promesse presentate come potenziali crack ma finite in categorie minori, mentre i prodotti del vivaio biancoceleste vedevano lo spazio ridursi.
Così, giocatori potenzialmente validi si sono persi per strada, senza la possibilità di crescere con continuità.
Un problema anche regolamentare
Dal 2015 la Serie A ha introdotto la regola della lista dei 25, che impone alle società di avere almeno 4 calciatori cresciuti nel proprio vivaio. La Lazio, però, ne ha solo uno: Cataldi. Questo significa partire ogni anno con una lista più corta rispetto alle rivali, una penalizzazione che riflette perfettamente la debolezza strutturale del vivaio biancoceleste.
Cosa serve per cambiare rotta
Il calcio moderno insegna: un vivaio ben gestito non è solo un bacino di calciatori, ma una fonte di plusvalenze e ricavi. Roma, Inter e Real Madrid lo dimostrano: ogni anno incassano milioni grazie ai prodotti delle giovanili, reinvestendo poi sul mercato.
La Lazio, invece, resta ferma. Per cambiare rotta servirebbe un investimento deciso – portare i fondi destinati al settore giovanile almeno vicino a quelli delle altre big – e una strategia chiara per valorizzare i ragazzi di Formello. Solo così i biancocelesti potrebbero colmare un gap che oggi sembra incolmabile.
Conclusione
- Lazio, il piano di Lotito per il futuro: sponsor, cessioni e lo stadio Flaminio al centro del rilancio
- Lazio il grande problema del settore giovanile: dieci anni senza frutti e investimenti ridotti
- Lazio, il futuro è un bivio: Claudio Lotito deve vendere per il bene del club?
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- Lazio, Lotito ribadisce: “Non lascio il club. Patrimonio solido, penalizzati solo dal blocco del mercato”
Il settore giovanile è da sempre un termometro dello stato di salute di un club. Per la Lazio, oggi, è un campanello d’allarme. Senza un’inversione di tendenza, il rischio è continuare a dipendere da acquisti mediocri e costosi, invece di costruire una squadra sostenibile e competitiva.
Il verdetto è chiaro: il vivaio della Lazio, sotto Lotito, è rimasto il grande incompiuto. Se davvero il club vuole tornare a competere stabilmente ai vertici, la rinascita deve partire dai giovani.
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