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Lazio, i limiti strutturali della gestione Lotito: perché il club non riesce a fare il salto di qualità

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Lazio, i limiti strutturali della gestione Lotito

ROMA – Claudio Lotito è l’uomo che ha salvato la Lazio dal fallimento. Quando nel giugno del 2004 rilevò il club, i biancocelesti erano sommersi dai debiti e a rischio crollo. In vent’anni di presidenza, Lotito ha garantito stabilità economica e una costanza di risultati che hanno riportato la Lazio a competere stabilmente per l’Europa. Tuttavia, mai come negli ultimi anni emerge con chiarezza un dato: la Lazio è rimasta un’outsider della Serie A, capace di insidiare le big ma mai di presentarsi da vera favorita per lo scudetto o per un posto fisso in Champions League.

Il motivo? Accanto ai meriti del presidente ci sono limiti cronici che, a lungo termine, hanno frenato l’evoluzione del club.

Dal salvataggio al presente: il “modello Lotito”

Lotito, appena arrivato, adottò una strategia ferrea: taglio netto delle spese, riduzione drastica dei costi e risanamento del bilancio. Una scelta obbligata che permise alla Lazio di sopravvivere e, in pochi anni, di tornare in equilibrio finanziario.

Questa politica ha garantito solidità economica – un elemento non scontato nel panorama calcistico italiano – ma ha finito col trasformarsi in un limite strutturale. Il calcio moderno, infatti, è ormai un’industria paragonabile a una multinazionale: servono competenze, strutture e figure dirigenziali in grado di gestire ogni settore. E la Lazio, su questo, è rimasta indietro.

Il nodo dirigenziale: troppo poco per un grande club

Un esempio lampante è il calciomercato. Per anni, l’unico uomo a occuparsene è stato Igli Tare, costretto a gestire contemporaneamente trattative in entrata, uscite, rinnovi e sistemazione dei giovani della Primavera.

Il risultato? Molti talenti si sono persi, numerosi esuberi sono rimasti in rosa senza mercato e spesso le campagne acquisti si sono rivelate incomplete o tardive. In altre società – basti guardare la Juventus nell’epoca degli scudetti consecutivi – c’era una struttura ben più ampia: da Beppe Marotta a Paratici, fino a dirigenti dedicati esclusivamente alla gestione dei prestiti o al settore giovanile.

Alla Lazio, invece, tutto è stato per troppo tempo centralizzato su una sola figura, con conseguenze inevitabili sulla qualità del lavoro.

Marketing e ricavi: il grande ritardo

Un altro settore in cui la Lazio paga dazio è quello del marketing. Le entrate commerciali del club sono tra le più basse della Serie A, addirittura inferiori a quelle di società come la Fiorentina.

Il confronto con i grandi club europei – ma anche con rivali cittadini come la Roma – è impietoso. La campagna abbonamenti dei giallorossi, ad esempio, viene lanciata mesi prima di quella biancoceleste: un dettaglio che rivela la maggiore organizzazione del reparto marketing.

Lotito ha sempre privilegiato la riduzione dei costi, ma in questo modo ha finito per limitare la crescita delle entrate. Mentre le big italiane ed europee investono per aumentare sponsorizzazioni e merchandising, la Lazio resta con strutture ridotte, che faticano a stare al passo.

Una gestione “familiare” in un calcio globale

La Lazio, più che una grande azienda calcistica, continua a sembrare una società a conduzione familiare. Lotito gestisce in prima persona ogni aspetto, con la moglie che si occupa di Formello e il figlio Michele impegnato nel settore giovanile.

Un modello che può funzionare per una realtà medio-piccola, ma che non consente a un club con la storia e l’ambizione della Lazio di crescere ai livelli delle big.

Effetti sul campo

Le conseguenze di questa impostazione si vedono in campo:

  • Mercati incompleti o tardivi, che lasciano gli allenatori senza alternative valide;
  • panchine corte, che non reggono il doppio impegno tra campionato ed Europa;
  • talenti sprecati, persi tra Primavera e prestiti mal gestiti;
  • squadra da outsider, capace di exploit ma raramente costruita per puntare in alto con continuità.

Il risultato è una Lazio solida, competitiva a tratti, ma incapace di spiccare il volo e di inserirsi stabilmente nell’élite italiana ed europea.

Conclusioni: quale futuro per la Lazio?

Il merito di Lotito nel salvare la Lazio dal baratro del 2004 è innegabile e resterà per sempre un punto fermo della sua presidenza. Ma per compiere il definitivo salto di qualità serve un cambio di mentalità.

Non basta guardare al bilancio: il calcio moderno richiede strutture, professionalità diffuse e investimenti mirati. Solo così la Lazio potrà smettere di essere una nobile outsider e provare a diventare protagonista.

Il popolo biancoceleste sogna una società finalmente in grado di competere ad armi pari con le big del calcio italiano. La domanda resta aperta: Lotito sarà disposto a cambiare il suo modello gestionale o la Lazio resterà, ancora una volta, a metà del guado?



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